Compravendita immobiliare – irregolarità della abitabilità – domanda risarcitoria – prescrizione e infondatezza nel merito – condanna ex art. 96 c.p.c. - presupposti

3.4.2020 Trib. Pesaro - Sent. 417/2020 - Est. F. Melucci

03/04/2020

MOTIVAZIONE

1 - Con atto di citazione del 2.8.2016 X e Y convenivano in giudizio B srl, M e V, esponendo d’aver acquistato da B srl, in data 2002, l’appartamento sito a R, , in catasto fabbricati di detto Comune al foglio __ mappale __; che la venditrice, poi trasformatasi in società di capitali, aveva depositato la richiesta di abitabilità il 2001, ma senza possibilità di accoglimento perché l’immobile era privo dei requisiti e carente delle prescritte certificazioni; che, infatti, solo in data 2014 il direttore dei lavori strutturali, M, aveva depositato la relazione a strutture ultimate con allegata verifica di calcolo strutturale, ed il collaudatore il 2014 aveva depositato il certificato di collaudo statico; che il Comune di R aveva così rilasciato in data 23.12.2014 il certificato di abitabilità; che, tuttavia, la verifica di calcolo strutturale era erronea, per cui gli stessi attori avevano depositato la verifica corretta presso l’ufficio sismico; che l’esecuzione della variante architettonica era avvenuta in assenza di preventiva denuncia in violazione degli artt. 93 e 94 d.p.r. n. 380 del 2001. Tanto premesso, gli attori, deducendo la responsabilità contrattuale della venditrice, nonché quella extracontrattuale degli altri convenuti, incluso il Vquale direttore dei lavori architettonici, domandavano che, accertato l’inadempimento della venditrice all’obbligo di consegna del certificato di abitabilità, nonché il difetto dei requisiti richiesti dalla normativa urbanistica, segnatamente dalla “legge sismica”, per il periodo dal 26.2.2002 al 23.12.2014, i convenuti fossero condannati, in solido, al risarcimento in proprio favore dei danni nella misura di €.152.000,00, di cui €.5.000,00 per costo “degli incombenti tecnici sostenuti e/o da sostenere e/o oneri correlati per la valida abitabilità”, €.70.000,00 per il minor valore dell’immobile ed €.77.000,00 per pregiudizio al godimento del bene, o nella diversa misura di giustizia con interessi e rivalutazione. Si costituivano con unico atto di difesa B srl e i soci in proprio, i quali contestavano le domande, eccependo in primis la decadenza e prescrizione; deducevano, altresì, che l’abitabilità era da ritenersi certificata per silenzio assenso sin dal 20.9.2011; che i danni allegati non erano provati; che gli attori avevano venduto l’immobile ad un prezzo quasi doppio rispetto a quello di acquisto. Concludevano, pertanto, per il rigetto delle domande ed, in subordine, per la riduzione del quantum, con il favore delle spese e condanna degli attori per lite temeraria. Si costituiva V, il quale eccepiva l’inammissibilità o improcedibilità della domanda per difetto delle relative ragioni di fatto e diritto, nonché per decadenza e prescrizione. Nel merito declinava ogni responsabilità, eccependo che il deposito della documentazione per il perfezionamento della domanda di abitabilità era di competenza del direttore dei lavori strutturali; che, in difetto di richiesta di integrazione da parte del Comune, la richiesta di abitabilità era da ritenersi accolta; che i danni allegati erano insussistenti e privi di riscontro. Concludeva, quindi, per l’inammissibilità ed il rigetto delle domande con il favore delle spese e condanna degli attori ai sensi dell’art. 96 c.p.c. Si costituiva, infine, M, il quale contestava le domande, eccependo che l’immobile era conforme alla normativa urbanistica e sismica, in particolare, come garantito dagli stessi attori nell’atto di vendita 2015; che il deposito di atti e documenti presso la pubblica amministrazione era avvenuto senza necessità di alcuna modifica dell’immobile; che gli attori, a seguito dell’avvenuta vendita, erano privi di legittimazione; che a sua volta lo stesso convenuto era privo di legittimazione per non aver avuto alcun rapporto professionale con gli attori; che l’azione era prescritta. Concludeva, quindi, per il rigetto delle domande ed, in subordine, per la riduzione del quantum, chiedendo infine il differimento della prima udienza, al fine di chiamare in causa A Assicurazioni S.p.a, da cui pretendeva d’essere garantito rispetto ad ogni conseguenza del giudizio. Disposto il differimento della prima udienza, si costituiva A Assicurazioni S.p.a, la quale contestava le domande, eccependo che gli attori erano privi di legittimazione per aver venduto l’immobile; che l’assicurato era carente di legittimazione non essendo parte del contratto di compravendita; che l’azione era prescritta; che l’immobile era conforme alla normativa urbanistica e sismica; che la verifica di calcolo strutturale non era affetta da errori; che i danni erano insussistenti e non provati; che la polizza copriva il danno con limiti di massimale e per la sola quota di responsabilità dell’assicurato. Concludeva, quindi, per il rigetto delle domande ed, in subordine, per l’applicazione dei limiti di massimale, scoperti, franchigie. In istruttoria aveva corso una consulenza tecnica. La causa, quindi, sulle opposte conclusioni delle parti, come in epigrafe trascritte, passava in decisione.

2 – Parte attrice domanda, anzitutto, che, accertato l’inadempimento della società venditrice “all’obbligo di consegnare il certificato di abitabilità”, la stessa sia condannata, in solido, con i soci ed i professionisti citati in giudizio al risarcimento dei danni. Riguardo a detta domanda, l’eccezione di prescrizione, sollevata dalle parti convenute (tempestivamente costituite), è fondata. Come afferma la giurisprudenza di legittimità, “il mancato rilascio del certificato di abitabilità costituisce non già un illecito, ma un inadempimento contrattuale, essendo la relativa obbligazione connaturale alla destinazione abitativa dell'immobile alienato” (Cass. 2011 n. 19204 in motivazione). Nella specie, l’obbligazione di consegna del certificato è stata vieppiù assunta con il contratto di vendita, nel quale la società convenuta, dando atto dell’avvenuto deposito della relativa domanda in data 6.8.2001, si era obbligata “alla rifusione di spese e danni” in caso di mancato rilascio (v. doc. 1 attori) La mancata previsione di un termine entro il quale la prestazione doveva essere eseguita autorizzava gli attori ad esigerla immediatamente (art. 1193 c.c.), come correttamente inteso anche dalla difesa attrice che ha, infatti, determinato il danno con riferimento al periodo dal 26.2.2002 (data del contratto) al 23.12.2014. Considerato, peraltro, che dal deposito della domanda di agibilità era decorso un termine più che congruo, superiore a quello prescritto per il silenzio-assenso (art. 4 comma 3 d.p.r. n. 425 del 1994, poi art. 25 d.p.r. n. 380 del 2001), la venditrice doveva provvedere senz’altro alla consegna senza dilazione. Acquisita l’immediata esigibilità della prestazione, “deve escludersi”, come affermato dalla giurisprudenza, “che l'inadempimento abbia carattere permanente, essendo la permanenza categoria omogenea all'illecito, con conseguente immediata decorrenza del termine di prescrizione del diritto succedaneo al risarcimento o all'indennizzo per il mancato rilascio della certificazione di abitabilità” (Cass. 2011 n. 19204). Pertanto, essendo decorsi più di quattordici anni dalla conclusione del contratto di vendita (26.2.2002) a quella di introduzione della domanda (2.8.2016), il diritto azionato deve ritenersi prescritto, con conseguente rigetto della domanda. Inammissibili sono le eccezioni di interruzione della prescrizione e quella di sospensione ex art. 2941 n. 8 c.c., sollevata dagli attori rispettivamente nella prima e nella seconda memoria ex art. 183 c.p.c., in quanto proposte oltre il termine preclusivo di cui all’art. 183 comma 5 c.p.c., il quale prevede che l’attore può proporre nella prima udienza di trattazione “le eccezioni che sono conseguenza della domanda riconvenzionale o delle eccezioni proposte dal convenuto”. Va anche evidenziato, in relazione alla domanda de qua, il palese difetto di legittimazione dei convenuti V ed M, non trattandosi – come da citata giurisprudenza – di illecito extracontrattuale, ma di inadempimento contrattuale del contratto di vendita, cui i predetti convenuti sono estranei.

3 – Gli attori domandano, altresì, che, accertato il difetto dei “requisiti richiesti dalla normativa tecnico urbanistica ed in particolare dalla legge sismica per l’abitabilità”, i convenuti siano condannati in solido al risarcimento dei danni. L’eccezione di prescrizione è fondata anche rispetto alla domanda in esame. Premesso che anche in questo caso si tratta non di illecito, ma di inadempimento dell’attribuzione traslativa, che può essere inesatta in ragione della irregolarità del bene, cioè della sua non conformità a prescrizioni giuridiche poste a tutela di interessi privati o pubblici – donde il difetto di legittimazione dei soggetti diversi dalla società convenuta – si rileva che la manifestazione esterna del danno da illegittimità edilizia dell’immobile alienato, costituente il momento dal quale il diritto al risarcimento può essere esercitato, “può anche — in ipotesi particolari — essere coeva all'acquisto” (così in motivazione Cass. 2016 n. 23236), ed è ciò che esattamente si riscontra nel caso di specie. Al riguardo, è pacifico (v. citazione pg. 1-3) che in data 6.8.2001 la venditrice ebbe a depositare la domanda di abitabilità, che venne poi accolta il 23.12.2014 (v. doc. 7 attori), a seguito delle integrazioni documentali eseguite dall’ingegnere M (v. doc. 4 attori). In questi documenti, e segnatamente nella “relazione generale e sulle fondazioni” si dichiara l’avvenuta esecuzione di alcuni varianti - essenzialmente la modifica di travi e pilastri, le variazioni di alcuni balconi, l’inserimento di due pilastri centrali (v. doc. 6 attori) - oggetto di concessione edilizia in sanatoria dell’1.8.2001 (v. osservazioni c.t.p. attrice pg. 4; relazione c.t.u. pg. 3). Come osservato dall’ufficio del rischio sismico provinciale (v. doc. 9 attori), trattandosi di interventi anteriori al 26.2.2002 e non previsti nel progetto originario, la loro esecuzione risulta avvenuta in difetto della preventiva denuncia, con conseguente sussistenza della violazione degli artt. 93 e 94 del d.p.r. n. 380 del 2001. Ed è proprio la sussistenza di tali reati che gli attori pongono a fondamento della domanda risarcitoria (v. citazione pg. 9). Considerato che gli attori erano a conoscenza della concessione in sanatoria n. 269 dell’1.8.2001 per averne fatto dichiarazione nell’atto pubblico di vendita del 26.2.2002, certamente conoscevano, già al momento della conclusione del contratto, la sussistenza degli abusi e l’avvenuto rilascio della sanatoria “fatto salvo il rispetto della legge 2.2.1974 n. 64” (v. relazione c.t.p. attori pg. 4). Considerato, dunque, anche in questo caso il termine decennale di prescrizione del diritto al risarcimento del danno da inadempimento decorrente dalla data della vendita, la domanda di risarcimento risulta tardivamente proposta, e va, dunque, respinta.

4 – Vi è, peraltro, un’ulteriore ragione di rigetto delle domande risarcitorie, oggetto di eccezione delle parti convenute, riguardante i danni dedotti. Parte attrice allega tre pregiudizi determinati in termini monetari: a) il danno di €.5.000,00 “per il costo degli incombenti tecnici sostenuti e/o da sostenere e/o oneri correlati per la valida abitabilità della porzione di fabbricato suddetta”; b) €.70.000,00 “per il minor valore del bene”; c) €.77.000,00 “per pregiudizio al normale pieno godimento del bene stesso” (v. citazione pg. 7).

4.1 - Ebbene, la somma di €.5.000,00, che sarebbe stata attribuita all’ing. W “per acquisire il certificato di abitabilità” (v. citazione pg. 4), oltre a non essere confermata da alcun riscontro, non ha alcuna pertinenza con l’abitabilità rilasciata dal Comune di R, in quanto il rilascio avvenne a seguito delle integrazioni documentali eseguite dall’ing. M (v. citazione pg. 2), avendo invece il W operato solo “la verifica del calcolo strutturale” (v. citazione pg. 3) con un deposito documentale “non accolto” dall’ufficio sismico (v. doc. 9 attori), e retribuito dagli attori con €.634,40 (v. capitolo 6 attori, doc. 16). Gli attori non possono, poi, lamentare costi futuri per il rilascio di valida abitabilità, non avendo più la proprietà del bene e, dunque, titolo per conseguire il relativo certificato.

4.2 – Inconsistente è anche il danno per il minor valore dell’immobile. Difatti, gli attori, i quali, si badi, non agiscono con actio quanti minoris (art. 1492 c.c.), ma con domanda risarcitoria (art. 1494 c.c.), non hanno subito alcun pregiudizio dall’inadempimento della società convenuta, per la semplice, quanto evidente ragione che, avendo rivenduto l’immobile, in data 14.5.2015, al prezzo di _________ (v. doc. 4), dopo averlo acquistato al prezzo di ________ (v. doc. 1 attori), hanno conseguito un utile di ben ____________. È vero che, secondo una risalente giurisprudenza l'inadempimento dell’obbligazione di consegnare il certificato sarebbe "ex se foriero di danno emergente, perché costringe l'acquirente a provvedere in proprio, ovvero a ritenere l'immobile tal quale, cioè con un valore di scambio inferiore a quello che esso diversamente avrebbe, a prescindere dalla circostanza che il bene sia alienato o comunque destinato all'alienazione a terzi” (Cass. 2013 n. 23157), ma questa impostazione non è condivisibile, giacché “giunge ad identificare il danno con l'evento dannoso ed a configurare un vero e proprio danno punitivo, ponendosi così in contrasto sia con l'insegnamento delle Sezioni Unite della S.C. (sent. n. 26972 del 2008) secondo il quale quel che rileva ai fini risarcitori è il danno-conseguenza, che deve essere allegato e provato, sia con l'ulteriore e più recente intervento nomofilattico (sent. n. 16601 del 2017) che ha riconosciuto la compatibilità del danno punitivo con l'ordinamento solo nel caso di espressa sua previsione normativa, in applicazione dell'art. 23 Cost.” (cfr. Cass. 2019 n. 11203).

4.3 – Quanto, infine, al pregiudizio al godimento del bene, determinato dagli attori con riferimento al “canone corrente di mercato”, quale parametro del dedotto “danno figurativo” (v. citazione pg. 5), si rileva che la compressione o la limitazione del diritto di proprietà di un immobile, che siano causate dall'altrui fatto dannoso sono suscettibili di valutazione economica non soltanto se ne derivi la necessità di una spesa ripristinatoria (c.d. danno emergente) o di perdita dei frutti della cosa (c.d. lucro cessante), ma anche se la compressione e la limitazione del godimento siano sopportate dal titolare con suo personale disagio o sacrificio, ed in ordine alla sussistenza e quantificazione di tale danno, l’onere probatorio a carico del proprietario può essere assolto anche mediante presunzioni semplici (cfr. Cass. 2019 n. 33439). Tuttavia, un danno siffatto non può ritenersi sussistente “in re ipsa”, e ciò per le medesime ragioni sopra esposte con riferimento all’onere di prova ed allegazione del danno-conseguenza (cfr. Cass. 2019 n. 11203 cit.). Pertanto, l’alleggerimento dell'onere probatorio del danno, derivante dalla possibilità di prova con presunzione, non può includere anche l'esonero dall'allegazione dei fatti che devono essere accertati (cfr. ancora Cass. 2019 n. 11203). Nel caso di specie, gli attori non hanno formulato alcuna specifica allegazione del danno in discorso, limitandosi ad invocare un preteso automatismo risarcitorio rispetto al valore locativo del bene, senza ottemperare così all’indicato onere di allegazione e prova, nel caso concreto particolarmente rigoroso, considerato che pacificamente l’immobile è stato abitato dagli attori per oltre tredici anni senza alcuna limitazione. L’avvenuto utilizzo dell’immobile è, anzi, circostanza che esclude il danno, atteso che “l'assenza del certificato di abitabilità di un appartamento, non escludendone di per sé la conformità alle norme igienico-sanitarie, non impedisce l'utilizzazione in concreto dello stesso come abitazione, potendosi, pertanto, riconoscere al proprietario dell'immobile il risarcimento del danno per la mancata fruizione del bene conseguente al fatto illecito ascrivibile ad un terzo” (Cass. 2013 n. 259). Il risarcimento è, dunque, dovuto laddove ricorra il danno-evento rappresentato dalla “mancata fruizione”, nella specie insussistente. Il danno in questione, dunque, al pari dei restanti, resta non provato.

5 – Per questi motivi, che hanno valore di ragione più liquida, le domande di parte attrice vanno respinte.

6 – Resta da considerare la domanda di risarcimento del danno da lite temeraria proposta dai convenuti. Al riguardo si osserva che la responsabilità aggravata ai sensi dell'art. 96, comma 1 e 2, c.p.c., a differenza di quella di cui al terzo comma della medesima norma, richiede la domanda di parte e la prova del danno (arg. da Cass. sez. un. 2018 n. 9912). Ne segue che “la domanda di risarcimento dei danni ex art. 96 c.p.c. non può trovare accoglimento tutte le volte in cui la parte istante non abbia assolto all'onere di allegare (almeno) gli elementi di fatto necessari alla liquidazione, pur equitativa, del danno lamentato” (Cass. 2015 n. 21798) Nella specie, non avendo i convenuti formulato alcuna specifica allegazione, né tanto meno fornito alcuna prova del danno genericamente dedotto, le domande in esame debbono essere respinte.

7 – Gli attori, quali soccombenti, sono tenuti a rifondere alle altre parti le spese di lite, incluse quelle del terzo, alla cui chiamata in giudizio hanno dato causa. (omissis) …

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