Edilizia residenziale convenzionata – contratto di locazione con opzione avversa per futuro acquisto – nullità – esclusione – recesso del conduttore – gravi motivi - interpretazione

21.12.2018 - Trib. Pesaro Sent. 1323 – Est. Pini

30/01/2020

Con atto di citazione ritualmente notificato, A conveniva in giudizio la Cooperativa B allo scopo di ottenere, previa declaratoria di nullità dei contratti di opzione e di locazione intervenuti tra le parti, la condanna di quest’ultima alla restituzione delle somme versate sino al momento del rilascio dell’immobile oltre ai costi per le migliorie apportate al bene. A supporto della propria iniziativa, la parte attrice riferiva che in data 26.02.2010 aveva sottoscritto un contratto di locazione a canone concordato con la cooperativa e contestualmente un contratto per l’esercizio del diritto di opzione per l’acquisto dell’immobile, in presenza di determinate condizioni, non prima del decorso di 15 anni; che nonostante la Cooperativa avesse ricevuto contributi per la costruzione di abitazioni da concedere in locazione, aveva – nei fatti – indotto a stipulare veri e propri contratti preliminari di compravendita di cui i canoni di locazione erano le rate anticipate sul prezzo; che il 23.12.2014 comunicava il proprio recesso a causa della cessazione della convivenza con il compagno d’allora e quindi della impossibilità di far fronte ai pagamenti; che tuttavia la cooperativa contestava la legittimità del recesso negando altresì la restituzione di quanto pagato per l’opzione; che il contratto per l’acquisto del diritto d’opzione era nullo – e con esso il collegato contratto di locazione – in quanto contrastante con le finalità previste dalla normativa in materia di edilizia economica e popolare; che, in ogni caso, il recesso era stato legittimamente esercitato posto che la cessazione della convivenza con il compagno che aveva provveduto sin lì al pagamento del canone integrava certamente i gravi motivi richiesti dal contratto; che, infine, erano dovute le spese affrontate per le migliorie. Si costituiva la parte convenuta, la quale – concludendo per il rigetto delle altrui richieste - deduceva, eccepita la nullità della citazione, che alcuna violazione nei principi normativi a disciplina del settore dell’edilizia popolare poteva sussistere in quanto la previsione di una locazione in funzione della successiva alienazione del bene in favore di soggetti che potevano non avere disponibilità di denaro per l’acquisto immediato dell’immobile rispondeva esattamente allo spirito di mutualità e solidarietà; che alcuna illecita finalità speculativa era ravvisabile in quanto sia i canoni, sia il contributo pubblico ricevuto dall’impresa e sia il prezzo dell’opzione erano calcolati a defalco sul prezzo complessivo di vendita; che la fine di una relazione sentimentale e le eventuali difficoltà economiche potevano costituire validi motivi di recesso; che alcuna somma a titolo di migliorie poteva essere riconosciuta essendo vietata dal contratto ogni modifica in assenza del consenso scritto del locatore; che, infine, la parte attrice doveva essere condannata a versare anche i canoni rimasti insoluti. La domanda non può essere accolta. La pretesa nullità del contratto di acquisto del diritto d’opzione da esercitare in vista dell’acquisizione dell’immobile e quindi (in quanto collegato) del contratto di locazione del medesimo appartamento riposa, secondo la prospettazione attorea, sulla considerazione della illiceità di tale complessiva operazione contrattuale volta alla vendita per essere “in contrasto alla legge, in particolare alle norme sull’edilizia economica e popolare”. Ciò perché – a quanto pare di capire dalla narrazione dell’attrice – alla Cooperativa sarebbe stato vietato vendere dal momento che essa aveva ottenuto il contributo per la realizzazione di abitazioni da concedere solo in locazione e non da alienare. Dal momento che, come visto, la finalità espressamente individuata dalla convenzione  era effettivamente quella della vendita e/o della locazione degli appartamenti non pare sussistere la denunciata nullità nella predisposizione di contratti di locazione con opzione d’acquisto decorso un determinato periodo di tempo atteso che anche tale “combinazione” consentiva prima il godimento e poi l’acquisto di un bene in cui la parte locataria aveva già vissuto per ben quindici anni, in tal modo stabilizzando definitivamente la condizione abitativa. Premesso che la locazione con opzione d’acquisto differisce dal contratto preliminare di compravendita e posto che non risulta specificato con chiarezza ove risieda l’obbligo per la convenuta di concedere gli alloggi di sua pertinenza solo in locazione con divieto di alienarli anche a distanza di quindici anni, anche seguendo il ragionamento della parte attrice e quindi volendo ipotizzare che la Cooperativa B avesse incamerato contributi per la concessione in locazione dei beni salvo poi venderli, si tratterebbe di una circostanza che non produrrebbe l’invalidità dei contratti di locazione e d’opzione (alcun vizio dell’atto sarebbe ravvisabile) stipulato tra le parti, ma che potrebbe – al più – esporre a responsabilità verso la parte pubblica il percettore di contributi indebitamente impiegati. Nemmeno, infine, la normativa regionale richiamata dalla parte attrice (solo) con la propria prima memoria ex art. 183 co. 6 c.p.c. consente di fondare profili di nullità. La domanda, pertanto, va respinta. Allo stesso modo, da rigettare è la domanda di accertamento della legittimità del recesso. L’art. 8 del contratto di locazione consentiva al conduttore di recedere “per gravi motivi”. La legittimità del recesso, inoltre, era condizione per pretendere la restituzione della somma versata per l’acquisto del diritto di opzione. Ciò premesso, la giurisprudenza tende – come noto – a ravvisare secondo una interpretazione restrittiva, nella materia locatizia, i gravi motivi solo in presenza di “…avvenimenti sopravvenuti alla costituzione del rapporto, estranei alla sua volontà ed imprevedibili, tali da rendere oltremodo gravosa per il conduttore la sua prosecuzione. La gravosità della prosecuzione, che deve avere una connotazione oggettiva, non potendo risolversi nella unilaterale valutazione effettuata dal conduttore in ordine alla convenienza o meno di continuare il rapporto locativo…” (tra le tante, vd. cass. n. 26711/11). A, nell’atto di recesso, si lamentava del fatto di aver due figli a carico senza l’aiuto del convivente il quale aveva abbandonato l’abitazione ponendo fine al loro rapporto. Anzitutto, come si evince dalla dichiarazione dei redditi versata in atti e relativa all’anno d’imposta 2014, la parte attrice poteva vantare un reddito complessivo di euro (omissis). Non risultano disponibili altre dichiarazioni dei redditi relative alle annualità precedenti o successive. La presenza di figli – e quindi anche di padri – impone a ciascuno dei genitori di provvedere al mantenimento della prole, dovere cui non si può sottrarre neppure il genitore disoccupato. Peraltro, la circostanza che costoro non potessero neppure minimamente provvedere non è sufficientemente dimostrata, dal momento che, trattandosi di circostanza non sottoponibile a testimoni in quanto valutativa, risultano dimostrabili soltanto attraverso prove documentali che attestino non solo l’effettiva assenza di redditi ma anche l’impossibilità di procurarseli. Ne deriva, quindi, che pur potendosi certamente presumere che l’allontanamento del D. abbia aggravato la situazione della parte attrice, non vi è la prova – stante comunque la presenza di un reddito non irrisorio e in assenza di ogni iniziativa volta a favorire la compartecipazione degli oneri di mantenimento – della presenza di una condizione di indigenza del tutto oggettiva e indipendente da ogni diligenza della parte recedente. Da rigettare è anche la domanda di rimborso delle migliorie asseritamente apportate all’appartamento. A prescindere dalla questione relativa alla necessità di esplicita e formale autorizzazione da parte del locatore, è noto che quando si parla di migliorie in materia locatizia è possibile avere riguardo soltanto a quegli interventi che, senza mutare la natura del bene locato, ne comportino un miglioramento oggettivo, qualitativo o quantitativo tale da accrescerne il valore aumentandone in modo durevole il godimento, la produttività e la redditività. Non ogni lavoro operato sul bene locato, quindi, è una miglioria e – pertanto – non ogni operazione realizzata su di esso è meritevole di rimborso. Ciò detto, non può non constatarsi che la richiesta di ripetizione della somma di euro (omissis) qui avanzata per le presunte migliorie apportate dall’attrice appaia del tutto generica sul piano allegativo. Non si comprende, invero, né a quali migliorie di preciso la A intenda fare riferimento né, quindi, come sia quantificato l’importo preteso in restituzione. La totale assenza di chiarezza sul piano allegativo non è peraltro colmata neppure dalla documentazione versata in atti. Tale eterogenea documentazione versata in atti senza la necessaria chiarezza in sede allegativa impedisce quindi, da un lato, di individuare le effettive migliorie e, dall’altro, a quali di esse si riferiscano i pagamenti sostenuti. La domanda quindi non può essere accolta. Va accolta, infine, la domanda riconvenzionale di pagamento della somma di euro (omissis) a titolo di canoni insoluti stante l’assenza di contestazione. Viceversa la domanda di condanna, formulata per la prima volta con la seconda memoria ex art. 183 co. 6 c.p.c., per l’importo in eccesso, non può trovare accoglimento in quanto, se è vero che la richiesta di condanna al pagamento di ulteriori importi maturati in corso di giudizio è considerata pacificamente ammissibile, è altrettanto vero che ciò può ammettersi solo a condizione che si tratti di variazioni meramente quantitative del "petitum" che non alterino i termini sostanziali della controversia e non introducano nuovi temi di indagine. Nel caso di specie, invece, in sede di comparsa costitutiva la somma richiesta inizialmente era pretesa soltanto a titolo di canoni arretrati mentre, con la nuova domanda, si reclamano anche oneri condominiali e quindi voci qualitativamente differenti da quelle originarie.

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