Inadempimento obbligo vaccinale – Art. 4 d.l. 44/2021 – Farmacista – sospensione dell’esercizio della professione comminata dall’Ordine Professionale – impugnazione – giurisdizione della Commissione Centrale per gli esercenti le professioni sanitarie - ragioni

14.4.2022 – TAR Marche – Sent. 250/2022 – Pres. Daniele - Est. Capitanio

26/04/2022

… “1. La ricorrente, iscritta all’Ordine dei Farmacisti della Provincia di V e titolare di farmacia privata ubicata in X, impugna l’atto datato gennaio 2022 - con cui il predetto Ordine, dopo aver accertato l’inosservanza da parte della dott.ssa P dell’obbligo vaccinale introdotto dall’art. 4 del D.L. 1° aprile 2021, n. 44, convertito in L. 28 maggio 2021, n. 76, ha preso atto che ciò determina ex lege la sospensione della farmacista dall’esercizio della professione sino al completamento del ciclo vaccinale primario e comunque fino al (omissis) - nonché gli atti presupposti a quello datato gennaio 2022 (va sin d’ora precisato che nel presente giudizio, quantomeno ai fini della questione oggetto della presente ordinanza, viene in rilievo la versione dell’art. 4 del D.L. n. 44/2021 risultante dalle successive modifiche introdotte dal D.L. 26 novembre 2021, n. 172, convertito in L. 21 gennaio 2022, n. 3, mentre non rilevano quelle introdotte dal recentissimo D.L. 24 marzo 2022, n. 24). 2. Si è costituito in giudizio l’Ordine dei Farmacisti, eccependo preliminarmente l’inammissibilità del ricorso per difetto di giurisdizione del G.A. e chiedendone in ogni caso il rigetto nel merito. 3. Alla camera di consiglio del 6 aprile 2022, fissata per la trattazione della domanda cautelare, il Tribunale, ravvisata la sussistenza dei presupposti di cui all’art. 60 c.p.a., ha dato avviso alle parti presenti della possibilità di definire il giudizio in questa sede con sentenza resa in forma immediata, non riscontrando opposizioni o riserve. 4. Il Collegio ritiene che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, con ciò intendendo dare continuità ad un orientamento di questo Tribunale ormai consolidato. Prima di dare conto delle ragioni che sono alla base del convincimento del Collegio, appare necessario chiarire che: - come emerge chiaramente dalla lettura del ricorso, le censure della dott.ssa P si appuntano unicamente nei riguardi dell’art. 4 del D.L. n. 44/2021, ossia del complesso meccanismo introdotto dal legislatore per far sì che i soggetti esercenti le professioni sanitarie adempissero all’obbligo vaccinale; - non vengono sollevate invece censure relative all’operato dell’Ordine di appartenenza, il quale, come si evince dalla lettura dell’atto impugnato, si è dal canto suo limitato a dare conto di aver accertato tramite consultazione della piattaforma digitale D.G.C. il mancato assolvimento da parte della dott.ssa P del ciclo vaccinale primario e a constatare che da ciò discende ex lege la sospensione temporanea dall’esercizio dell’attività professionale (che l’Ordine ha ovviamente annotato nell’Albo provinciale). All’esito di tali considerazioni si deve dunque concludere nel senso che la ricorrente agisce primariamente a tutela del diritto alla salute, inteso nella sua accezione “pura” (ossia come diritto assoluto non comprimibile dal legislatore se non negli stretti limiti indicati dalla Corte Costituzionale nelle decisioni richiamate in ricorso, nonché alle condizioni previste da Carte internazionali dei diritti pure esse menzionate nel mezzo introduttivo), e in via immediatamente gradata il diritto a svolgere la propria attività lavorativa libero-professionale (il che le è impedito dalla sospensione derivante dal mancato adempimento dell’obbligo vaccinale). 5. Ciò premesso, questo Tribunale ha già dichiarato il difetto di giurisdizione del G.A. a conoscere di controversie analoghe a quella promossa dalla dott.ssa P in alcune recenti decisioni (senza pretesa di completezza, vanno citate le sentenze nn. 876/2021, 879/2021, 880/2021, 881/2021, 60/2022 e 95/2022), in cui il T.A.R., per un verso ha dichiarato sostanzialmente di condividere le conclusioni a cui era pervenuto il T.A.R. Liguria in alcune sentenze “gemelle” (si tratta, in particolare, delle decisioni nn. 983, 984, 985, 986, 987 e 991 del 2021), per altro verso in ciascuna sentenza ha aggiunto alcune ulteriori considerazioni scaturite dalle argomentazioni con cui di volta in volta i ricorrenti hanno tentato di superare la questione di giurisdizione. Anche se nella specie parte ricorrente non ha introdotto, né in ricorso né in sede di discussione orale, particolari o nuovi argomenti al riguardo, il Collegio ritiene utile riportare anche gli argomenti specifici spesi in alcune sentenze. 5.1. Il T.A.R. Liguria aveva così giustificato le pronunce declinatorie della giurisdizione: “…. La disposizione prevede un obbligo generalizzato per gli esercenti le professioni sanitarie di sottoposizione alla vaccinazione anti Covid 19. L’art. 4, comma 1, d.l. 44/21, infatti testualmente afferma che i sanitari “sono obbligati a sottoporsi a vaccinazione gratuita per la prevenzione dell'infezione da SARS-CoV-2”. L’obbligo vaccinale è previsto immediatamente dalla legge senza alcuna intermediazione del potere amministrativo. Il successivo complesso procedimento delineato dalla norma non è finalizzato a rendere effettivo l’obbligo che, ripetesi, discende direttamente dalla legge quanto piuttosto a fare emergere in maniera chiara e inequivocabile l’inottemperanza da parte del sanitario al predetto obbligo. In particolare il procedimento, di competenza dell’ASL di residenza del sanitario, si sostanzia in una prima fase, necessaria, di accertamento tramite il sistema informativo regionale della già avvenuta vaccinazione del sanitario, e in una successiva fase eventuale, per il caso che la prima abbia dato esito negativo, di invito al sanitario di sottoposizione alla vaccinazione entro un termine determinato e stringente e in una terza fase, eventuale anche essa, per il caso in cui il sanitario non abbia inteso ottemperare all’invito di sottoporsi a vaccinazione, con cui l’ASL deve accertare l’inottemperanza alla sottoposizione all’obbligo vaccinale. L’inottemperanza all’obbligo vaccinale, consacrata in un apposito atto di accertamento, determina una serie di conseguenze sulla sfera lavorativa del destinatario, conseguenze che possono compendiarsi nella preclusione a svolgere mansioni a contatto con il pubblico o che comunque comportino il rischio di diffusione dell’infezione SARS-CoV-2. In particolare, tale atto di accertamento deve essere comunicato al datore di lavoro del sanitario ovvero all’ordine professionale di appartenenza al fine della assunzione dei provvedimenti utili a scongiurarne la potenziale contagiosità, provvedimenti che possono arrivare fino alla sospensione dal lavoro. Le conseguenze dell’inottemperanza all’obbligo vaccinale non discendono dall’atto di accertamento ma dai successivi provvedimenti del datore di lavoro e del Consiglio dell’ordine. Tali provvedimenti potrebbero anche, in ipotesi, fare difetto nel caso in cui il sanitario non svolgesse mansioni idonee a renderlo potenziale veicolo di infezione Sars -Cov -2. Orbene alla luce del quadro normativo testé delineato il Collegio ritiene che difetti la giurisdizione del giudice amministrativo. E ciò sotto un duplice punto di vista. Da un primo punto di vista, i ricorrenti agiscono a tutela della propria salute intesa quale diritto fondamentale ai sensi dell’art. 32 Costituzione, salute che potrebbe essere compromessa dalla sottoposizione ad una vaccinazione con un preparato avente, nella tesi dei ricorrenti, natura ancora sperimentale. In sostanza i ricorrenti lamentano l’impossibilità di effettuare una attendibile ponderazione costi benefici della somministrazione del vaccino dal momento che quest’ultimo è sottoposto ad autorizzazione al commercio condizionata ai sensi degli artt. 14 e ss. reg. CE 31 marzo 2004 n. 726/2004 e del reg. CE 29 marzo 2006 n. 507/2006. In particolare, l’autorizzazione condizionata alla messa in commercio, avrebbe come presupposto la sussistenza di “circostanze eccezionali” (art. 14 par. 8 reg. 726/04) e l’incompletezza dei dati sulla base dei quali valutare la sicurezza e l’efficacia del vaccino (art. 4 reg. CE 726/04). Conseguentemente qualsiasi bilanciamento, come quello operato dalla norma di legge contestata, tra l’interesse alla salute collettiva e quella individuale sarebbe inattendibile. Orbene, ponendosi in tale ottica, ci si avvede come i ricorrenti agiscano per la tutela di un loro diritto fondamentale quale quello alla salute che, nella sua componente oppositiva, che rileva nella specie, non può essere compresso e come tale degradato da provvedimenti amministrativi (C. cost. 26 luglio 1979 n. 88). Nella specie, peraltro, nessun provvedimento amministrativo autoritativo e come tale idoneo ad incidere sulle posizioni soggettive dei ricorrenti è stato previsto dalla norma tanto è vero che mai la norma ha qualificato gli atti posti in essere dalle ASL competenti in termini di provvedimento autoritativo. La norma, infatti, si esprime in termini di invito e di accertamento. Di talché il primo non è idoneo né a costituire, né a rendere attuale un obbligo che discende già dalla legge e il secondo non incide in alcun modo sulle posizioni dei ricorrenti, limitandosi ad un accertamento della loro inosservanza all’obbligo vaccinale. Tali atti si inseriscono in un procedimento che ha natura di mero accertamento e come tale non è idoneo a comprimere il fondamentale diritto dei ricorrenti alla salute. La dimostrazione che nessun vulnus ai ricorrenti deriva dagli atti di invito e dagli atti di accertamento impugnati deriva dalla circostanza che le censure su cui si fonda il ricorso sono tutte dirette, sotto forma di compatibilità con la disciplina eurounitaria e di legittimità costituzionale, avverso la norma di legge trascritta. Ne consegue che in nessun modo gli atti impugnati possono comprimere il diritto alla salute dei ricorrenti. Non lo possono perché nel suo aspetto oppositivo il diritto alla salute come diritto fondamentale è incomprimibile dal potere amministrativo. Non lo possono perché nella modalità in cui è stato declinato il precetto legislativo nessuno spazio residua al potere amministrativo né per quanto riguarda l’attualizzazione dell’obbligo, che non dipende dall’adozione degli atti impugnati, né per quanto riguarda l’eventuale esenzione dall’obbligo, in relazione al quale l’ASL deve limitarsi a recepire le indicazione del medico curante senza potere esprimere alcun potere discrezionale neppure dal punto di vista tecnico, né infine sulle conseguenze dell’eventuale inosservanza dell’obbligo, che sono rimesse al datore di lavoro ovvero all’Ordine professionale di appartenenza. Nel sistema delineato dalla norma la funzione dell’ASL è solo quella di accertamento inequivocabile della inosservanza dell’obbligo vaccinale. Accertamento assistito da una serie di garanzie contenute nella norma stessa. E tuttavia tale accertamento non può incidere sul diritto alla salute dei ricorrenti, che, configurandosi come diritto fondamentale pieno e inviolabile, deve trovare la sua tutela davanti al suo giudice naturale: il giudice ordinario prima ed eventualmente la Corte costituzionale poi. Tale posizione, pur nella sinteticità propria della sentenza in forma semplificata, è stata espressa dalla giurisprudenza (TAR Sicilia, Palermo II 3 novembre 2020 n. 2307). La conclusione, peraltro, non muta anche a volersi porre nella diversa ottica della sanzione per la mancata sottoposizione alla vaccinazione, sanzione che opera rispetto al rapporto di lavoro dei sanitari o comunque incide sulle possibilità di lavoro degli stessi. La sanzione per la mancata osservanza dell’obbligo vaccinale opera sul rapporto di lavoro dei sanitari ovvero comunque sulla loro possibilità di venire in contatto con il pubblico. Il sanitario che rifiuta di sottoporsi alla vaccinazione, infatti, deve essere adibito a mansioni anche inferiori che non comportino il contatto con il pubblico o altrimenti il pericolo di diffusione dell’infezione Sars cov -2. Ove ciò non sia possibile lo stesso deve essere sospeso dal lavoro senza retribuzione. Tale previsione opera evidentemente nei confronti dei sanitari dipendenti del settore pubblico e privato. Per i sanitari liberi professionisti invece è il Consiglio dell’ordine di appartenenza che deve adottare il provvedimento di sospensione dall’iscrizione all’albo professionale anche in questo caso, previo accertamento della impossibilità della prestazione professionale in totale sicurezza, rispetto ai rischi di diffusione della infezione Sars cov 2. Ma in entrambe le ipotesi considerate ci si avvede del difetto di giurisdizione del giudice amministrativo. Deve, infatti, rilevarsi come per i sanitari dipendenti pubblici e privati il giudice del provvedimento sanzionatorio, trasferimento comportante o meno demansionamento ovvero sospensione, sia il giudice ordinario. In particolare per quanto attiene al sanitario dipendente pubblico l’art. 63, comma 1, d.lgs. 165/01 prevede che sia il giudice ordinario a disapplicare eventuali provvedimenti amministrativi presupposti rispetto alla controversia che è sottoposta al suo esame. Per quanto invece attiene ai sanitari dipendenti privati è l’art. 5 l. 2248/1865 all. E che prevede tale possibilità. La Cassazione, infatti, in materia di accertamenti sanitari finalizzati ad accertare l’idoneità alle mansioni ovvero a particolari mansioni ha reiteratamente affermato che il giudizio della Commissione medica deve ritenersi sindacabile da parte del giudice ordinario del lavoro adito per l'accertamento della illegittimità del licenziamento avendo egli, anche in riferimento ai principi costituzionali di tutela processuale il potere-dovere di controllare l'attendibilità degli accertamenti sanitari effettuati dalle citate Commissioni (Cass. SS. UU. 15 gennaio 2021 n. 618, Cass. sez. lav. 16 gennaio 2020 n. 822, Cass. sez. lav. 4 settembre 2018, n. 21620, Cass. sez. lav. 25 luglio 2011, n. 16195, Cass. sez. lav. 8 febbraio 2008 n. 3095, Cass. sez. lav.20 maggio 2002, n. 7311). La situazione è analoga nel caso che occupa il Collegio in cui l’atto di accertamento della ASL costituisce il presupposto per l’adozione di un atto di gestione del rapporto di lavoro. In definitiva come i provvedimenti del datore di lavoro conseguenti all’accertamento dell’inottemperanza all’obbligo vaccinale, afferendo alla posizione lavorativa dei ricorrenti, sono ricompresi nella giurisdizione del giudice ordinario, parimenti attratti alla giurisdizione del giudice ordinario sono gli atti, contemplati nell’art. 44 d.l. 41/21, di cui si discute in questa sede, che accertano l’inottemperanza del sanitario all’obbligo vaccinale. Nel solo caso, che peraltro non consta al Collegio essere ricompreso tra le posizioni oggetto del presente giudizio, di sanitario dipendente pubblico avente rapporto di pubblico impiego non privatizzato, quale ad esempio sanitario militare ovvero sanitario della Polizia di Stato, potrebbe sussistere, sotto questo profilo la giurisdizione, esclusiva, del giudice amministrativo. Tale evenienza, tuttavia, non è dato riscontrare nel caso di specie. Nel caso di sanitari liberi professionisti, poi, la controversia sarebbe afferente al provvedimento di sospensione dall’iscrizione al relativo albo in relazione al quale difetta, parimenti, la giurisdizione del giudice amministrativo. Invero, la giurisdizione sulle impugnative avverso i provvedimenti di sospensione dell’iscrizione all’albo professionale adottati dai consigli degli ordini degli esercenti le professioni sanitarie spetta alla Commissione Centrale per gli Esercenti le Professioni Sanitarie, organo di natura giurisdizionale speciale in essere presso il Ministero della Salute e istituita dall’art.17 del d.lgs. c.p.S. 13 settembre 1946 n. 233. In particolare l’art. 18 del citato decreto stabilisce: “La Commissione centrale: a) decide sui ricorsi ad essa proposti a norma del presente decreto; b) esercita il potere disciplinare nei confronti dei propri membri professionisti e dei membri dei Comitati centrali delle Federazioni nazionali”. L’art. 3, comma 4, d.lgs. citato, inoltre, prevede: “Contro i provvedimenti per le materie indicate ai commi 1, lettera a), e 2, lettere a) e c), e quelli adottati ai sensi del comma 3 nelle medesime materie, è ammesso ricorso alla Commissione centrale per gli esercenti le professioni sanitarie”. L’art. 3, comma 1 lett. a) richiamato dalla norma trascritta contempla l’ipotesi, rilevante nel caso di specie dell’iscrizione dei professionisti all'Ordine nel rispettivo albo, della compilazione e tenuta degli albi dell'Ordine e della loro pubblicazione. Il successivo art. 19 prevede, poi, che: “Avverso le decisioni della Commissione centrale è ammesso ricorso alle Sezioni unite della Corte suprema di cassazione, a norma dell'art. 362 del Codice di procedura civile”. Alla luce di tale previsione, che contempla il ricorso alle Sezioni Unite della Cassazione avverso gli atti della Commissione, la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto, con orientamento consolidato, l’esercizio da parte della Commissione stessa di «funzioni di giurisdizione speciale» (Cass., sezioni unite civili, 7 agosto 1998, n. 7753). Tale orientamento è stato successivamente confermato dalla Corte costituzionale (C. cost. 7 ottobre 2016 n. 215, 9 luglio 2014 n. 193)…”. 5.2. Questo Tribunale, in particolare nella sentenza n. 879/2021, ha dovuto svolgere le seguenti ulteriori considerazioni, atteso che i ricorrenti in quel giudizio avevano mosso osservazioni critiche nei riguardi degli argomenti affermati dal T.A.R. Liguria, evidenziando che: - tali assunti, per quanto in sé corretti, muovono da un’errata premessa metodologica, atteso che in generale, ai fini dell’individuazione del giudice munito di giurisdizione, occorre stabilire quale è la posizione giuridica azionata dalla parte ricorrente innanzi all’autorità giurisdizionale adita (se si tratta di un diritto soggettivo la controversia appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario, mentre, se la posizione tutelata consiste in un interesse legittimo, la giurisdizione appartiene al giudice amministrativo); - la più recente giurisprudenza individua in capo al soggetto privato una posizione di interesse legittimo ogniqualvolta l’amministrazione agisca, esercitando un potere conferitole dalla legge, nel perseguimento di un pubblico interesse e non a tutela di una propria posizione soggettiva. Il discrimen, pertanto, deve individuarsi nella finalizzazione dell’azione amministrativa, la quale, ove diretta alla cura ed alla soddisfazione di un interesse generale, fonderà sempre una posizione di interesse legittimo in capo ai soggetti la cui sfera giuridica, in qualsiasi modo, subisca interferenze dall’agere dell’amministrazione. Allorquando invece l’amministrazione agisca per tutelare una propria posizione soggettiva, svincolata dal perseguimento di un pubblico interesse, il destinatario dell’atto posto in essere dalla P.A. vanterà una posizione di diritto soggettivo corrispondente e contrario a quello azionato dall’amministrazione (al riguardo veniva richiamata la sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 8 del 2007); - nel caso in esame è pacifico che il potere esercitato dall’A.S.L. competente sia diretto alla soddisfazione di un interesse pubblico, individuato ex ante dal legislatore nella necessità “…di tutelare la salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell'erogazione delle prestazioni di cura e assistenza…” (art. 4 del D.L. n. 44/2021). Ne consegue che chiunque ritenga di subire una lesione alla propria sfera giuridica dall’azione amministrativa improntata alla cura ed alla soddisfazione del suddetto interesse generale, vanterà una posizione giuridica di interesse legittimo, ovvero di interesse teso ad evitare che il perseguimento del pubblico interesse leda la propria sfera giuridica e non ad evitare che tale lesione derivi dall’esercizio di un diritto altrui; - ne consegue ulteriormente che non sono pertinenti nella specie gli altri argomenti evidenziati dal T.A.R. Liguria e ripresi da questo T.A.R. nell’ordinanza n. 823/2021 (adottata ai sensi dell’art. 73, comma 3, c.p.a.), visto che: a) essi ricorrenti avevano inteso azionare non tanto il proprio diritto alla salute, pregiudicato in maniera mediata e, all’epoca, soltanto potenzialmente, quanto il loro diritto all’autodeterminazione, leso dai provvedimenti adottati dall’A.S.U.R. Marche, in applicazione dell’art. 4 del D.L. n. 44/2021. Nonostante il nomen di “diritto” quello all’autodeterminazione e, nella specie, all’autodeterminazione al trattamento terapeutico, ben può “degradare” ad interesse legittimo, allorquando lo stesso sia leso o pregiudicato da un’attività posta in essere da una pubblica amministrazione nell’esercizio di un potere che la legge le conferisce in vista della tutela dell’interesse pubblico. Fra l’altro va rilevato che le Aree Vaste dell’A.S.U.R. Marche non hanno agito nella loro veste di datori di lavoro dei ricorrenti che rivestivano lo status di dipendenti pubblici, visto che gli atti impugnati avevano fra i loro destinatari anche quei ricorrenti che lavorano nella sanità privata o che sono liberi professionisti; b) nella specie l’amministrazione non aveva agito iure privatorum, ossia a tutela di un proprio diritto soggettivo, ma, secondo lo statuto tipico del diritto amministrativo, a tutela di un pubblico interesse, individuato a monte dal legislatore, ma il cui perseguimento è stato comunque rimesso all’amministrazione. A nulla rileva, pertanto, che l’attività delle A.S.L. nella specie sia integralmente vincolata, atteso che la discrezionalità costituisce solamente uno dei moduli dell’azione amministrativa, che rimane tale nel senso suo proprio di azione tesa alla soddisfazione dell’interesse generale, anche quando la stessa sia vincolata o connotata solo da discrezionalità tecnica; c) la giurisdizione del G.A. non discende dalla natura “non privatizzata” del rapporto di lavoro di cui alcuni dei ricorrenti sono titolari, ma dalla posizione giuridica, di interesse legittimo, che gli stessi hanno azionato. Peraltro, ancorare l’individuazione del giudice munito di giurisdizione alla natura della professione esercitata dai ricorrenti significherebbe ricondurre alla giurisdizione di due differenti plessi giurisdizionali la stessa questione sostanziale, visto che solo i lavoratori dipendenti potrebbero tutelarsi innanzi al Giudice del Lavoro, mentre i liberi professionisti dovrebbero tutelarsi di fronte al giudice amministrativo; d) del pari errata è la tesi secondo cui la giurisdizione amministrativa difetterebbe nel caso di specie, in ragione delle conseguenze previste per il mancato adempimento all’obbligo vaccinale. Infatti, i ricorrenti nei giudizi definiti dal Tribunale ligure, al pari di quelli che avevano agito davanti al T.A.R. Marche, lamentavano la lesione della propria autodeterminazione, pregiudicata dall’asserito perseguimento di un pubblico interesse ad opera della resistente amministrazione e non già qualche pregiudizio al proprio rapporto di lavoro o alla propria capacità professionale, non essendo stati oggetto di impugnazione gli atti adottati dai datori di lavoro o dagli Ordini professionali di appartenenza (al riguardo venivano richiamate le considerazioni esposte dal Consiglio di Stato nella sentenza n. 7045/2021). 5.3. A tali argomenti il Tribunale ha replicato che: “…Il Collegio, pur dando atto della pregevolezza giuridica dei prefati argomenti addotti a sostegno della sussistenza della giurisdizione del G.A., non ritiene di condividerli, e ciò per le seguenti ragioni (che vanno ad integrare quelle esposte dal T.A.R. Liguria nelle suddette sentenze “gemelle” e che vengono qui richiamate ai sensi dell’art. 74 c.p.a.). 8.1. In primo luogo va osservato che il c.d. diritto all’autodeterminazione che i ricorrenti affermano di aver voluto tutelare in questa sede non è un diritto autonomo rispetto al diritto alla salute, il che emerge da una piana lettura dell’art. 32 Cost. Infatti, l’autodeterminazione non è fine a sé stessa, ma in tanto viene azionata in quanto il soggetto interessato ritenga che la sottoposizione ad un trattamento sanitario sia potenzialmente idonea a cagionargli, a livello psico-fisico, un effetto negativo (se non addirittura fatale) superiore ai vantaggi attesi. Ne consegue che i ricorrenti hanno inteso tutelare il diritto alla salute, inteso come diritto a rifiutare un trattamento sanitario ritenuto non sufficientemente sicuro. 8.2. Quanto al secondo profilo, nell’ordinanza n. 823/2021 il Tribunale non ha inteso riferirsi alla tradizionale distinzione fra potere amministrativo discrezionale e potere amministrativo vincolato (e in questo senso l’utilizzo dell’aggettivo “discrezionale” ha forse ingenerato confusione), quanto piuttosto al fatto che nella specie l’art. 4 del D.L. n. 44/2021 non ha affidato alle A.S.L. italiane alcun potere, né vincolato né discrezionale, ma solo il compito di accertare in modo inconfutabile se i soggetti destinatari della norma abbiano o meno assolto all’obbligo vaccinale, e questo secondo modalità procedurali e tempistiche ancora una volta puntualmente descritte dal legislatore. Ma, del resto, è anche facile comprendere la ragione per cui il legislatore ha optato per tale scelta: a fronte del prevedibile rifiuto di una parte della platea dei destinatari di assolvere spontaneamente all’obbligo vaccinale, si è voluto evitare di affidare alle AA.SS.LL. qualsiasi potere autorizzatorio (seppure vincolato), perché ciò avrebbe potuto rendere meno efficace la campagna vaccinale, ad esempio in presenza di prassi difformi a livello regionale o infra-regionale circa l’individuazione dei casi in cui è possibile il differimento della vaccinazione. Il legislatore, peraltro, avrebbe anche potuto prevedere un meccanismo di accertamento dell’inosservanza dell’obbligo del tutto svincolato dall’adozione di qualsivoglia atto, essendo ben possibile svolgere le verifiche attraverso piattaforme telematiche che registrano in tempo reale i dati di coloro che si sottopongono alle operazioni vaccinali. In generale, però, è ben difficile che una norma di legge possa camminare solo con le proprie gambe, essendo quasi sempre necessario per la sua applicazione l’intervento, anche solo materiale, di una pubblica amministrazione o di un’autorità privata. 8.3. Quanto al terzo profilo, va anzitutto osservato che, a fronte delle norme costituzionali richiamate nella rubrica e nel corpo del 10° motivo di ricorso (pag. 60), è ben difficile sostenere che nella specie i ricorrenti non hanno agito a tutela del diritto al lavoro. Ma, anche volendo per un momento non considerare questo aspetto, si deve evidenziare che: - l’art. 4, comma 1, secondo periodo, del D.L. n. 44/2021 prevede che “La vaccinazione costituisce requisito essenziale per l'esercizio della professione e per lo svolgimento delle prestazioni lavorative dei soggetti obbligati”, ergo il legislatore ha introdotto un nuovo requisito indispensabile per il legittimo esercizio delle professioni sanitarie e di interesse sanitario, il quale si aggiunge a quelli già esistenti negli ordinamenti di settore; - ne consegue dunque che in parte qua la norma impatta frontalmente sul diritto al lavoro, diritto che ovviamente si declina diversamente (anche in punto di modalità di tutela giurisdizionale) a seconda che l’interessato sia un libero professionista, un lavoratore dipendente della sanità privata, un dipendente pubblico operante in uno dei comparti “privatizzati” o, infine, un dipendente pubblico “in regime di diritto pubblico”. In questi ultimi tre casi, infatti, la norma impatta sul “rapporto di lavoro”, di talché, in base ai consueti canoni di riparto, nelle prime due fattispecie il lavoratore deve chiedere tutela davanti all’A.G.O., nella terza fattispecie davanti al G.A. (che in questo caso è giudice “esclusivo”); - non è invece esatto affermare che nel caso dei sanitari liberi professionisti la tutela deve essere chiesta al G.A., perché tutte le controversie relative all’accertamento della sussistenza dei requisiti di legge per l’esercizio di libere professioni sono di competenza dell’A.G.O. o, se previsto dalla normativa di settore, di organismi paragiurisdizionali (come è ad esempio la Commissione prevista dal D.Lgs.C.P.S n. 233/1946), con la sola eccezione di quelle afferenti le procedure abilitative che prevedono la valutazione dei candidati (ad esempio, l’esame di abilitazione alla professione forense); - né rileva l’argomento secondo cui, a voler così opinare, si correrebbe il rischio che controversie del tutto identiche (in quanto aventi tutte ad oggetto la procedura di cui all’art. 4 del D.L. n. 44/2021) siano portate all’attenzione di due diversi plessi giurisdizionali. Infatti un tale scenario, per quanto non auspicabile in linea di principio, non è inedito nell’ordinamento italiano. Si pensi, ad esempio, al fatto che una medesima norma comunitaria può venire in rilievo tanto in un processo amministrativo che in un processo civile e che ciascuno dei due giudici la può interpretare in maniera differente (l’uno ritenendola chiara ed univoca, l’altro ritenendola invece abbisognevole dell’autorevole interpretazione della Corte di Giustizia U.E.). O, ancora, e proprio con riguardo alle controversie di lavoro, si pensi alla disposizione di cui all’art. 6 del D.L. n. 201/2011, convertito in L. n. 214/2011, con la quale, come è noto, è stata disposta l’abrogazione, salvo che per il personale dei comparti sicurezza, difesa, Vigili del Fuoco e soccorso pubblico, degli istituti dell'accertamento della dipendenza delle infermità da causa di servizio, del rimborso delle spese di degenza per causa di servizio, dell'equo indennizzo e della pensione privilegiata. In base ai canoni di riparto attualmente previsti dal D.Lgs. n. 165/2001, una eventuale controversia proposta da un dipendente pubblico “privatizzato” che intenda contestare la legittimità costituzionale della norma (e degli atti applicativi adottati dall’amministrazione di appartenenza) va incardinata davanti al Giudice del Lavoro, mentre una identica controversia promossa da un magistrato o da un professore universitario va incardinata davanti al G.A. (con esiti che ben possono essere diversi). 8.4. Ma, in realtà, a tali conclusioni si perviene anche alla luce dei consolidati principi dottrinali e giurisprudenziali in tema di leggi-provvedimento. Va infatti premesso che, ad onta di quanto ritenuto dal Consiglio di Stato nella citata sentenza n. 7045/2021, l’art. 4 del D.L. n. 44/2021 è una legge-provvedimento (anche se non nel senso comunemente inteso di norma che si indirizza ad uno specifico destinatario e/o che sostituisce un provvedimento amministrativo tipico), visto che: - solitamente una disposizione di legge relativa alla materia sanitaria, dopo aver enunciato le finalità perseguite dal legislatore, si limita a stabilire una prescrizione di carattere generale ed astratta, la quale necessita per la concreta attuazione di uno o più regolamenti applicativi e poi dell’adozione di provvedimenti singolari da parte delle amministrazioni competenti (si veda ad esempio l’art. 8-quater del D.Lgs. n. 502/1992, relativo all’accreditamento istituzionale con il S.S.N. delle strutture sanitarie pubbliche e private e dei liberi professionisti); - nella specie, per le finalità indicate supra (e come del resto è sempre accaduto in materia di vaccinazioni obbligatorie), il legislatore ha invece deciso di disciplinare in maniera esaustiva la materia, non solo in relazione all’imposizione dell’obbligo (il che è necessario in ragione della riserva di legge sancita dall’art. 32 Cost.), ma anche in relazione all’individuazione dei destinatari dell’obbligo, alle modalità di accertamento dell’inosservanza dell’obbligo e alle sanzioni, lasciando al datore di lavoro pubblico o privato il solo potere di individuare mansioni a cui il personale non vaccinato può essere adibito nel periodo di sospensione dall’esercizio dell’attività professionale. Ora, e premesso che con riguardo a quest’ultimo profilo i lavoratori dipendenti pubblici e privati possono chiedere tutela al Giudice del Lavoro o al giudice amministrativo “esclusivo” in via autonoma (sollevando se del caso le medesime questioni di illegittimità comunitaria, convenzionale e costituzionale dell’art. 4 del D.L. n. 44/2021 proposte in questa sede), va ricordato che le controversie afferenti la legittimità di una legge-provvedimento seguono, per quanto riguarda l’individuazione del giudice competente, il regime dell’atto amministrativo che la norma di legge sostituisce. Ad esempio, una controversia con la quale si contesta la c.d. legificazione del calendario venatorio stagionale va proposta davanti al G.A., ossia al giudice che è competente a conoscere della legittimità del calendario venatorio quando esso è adottato, come vuole l’art. 18 della L. n. 157/1992 e come avviene ordinariamente, con provvedimento amministrativo regionale (al riguardo si veda la sentenza della Corte Costituzionale n. 90 del 2013). Mentre, quando la legge-provvedimento sostituisce un atto ablatorio, occorre verificare se la controversia abbia ad oggetto la decisione di espropriare l’immobile (nel qual caso essa va incardinata davanti al G.A.) oppure – come è accaduto nella nota vicenda del Teatro Petruzzelli di Bari – profili indennitari (nel qual caso la controversia appartiene alla giurisdizione dell’A.G.O.). Tornando quindi alla disciplina introdotta dall’art. 4 del D.L. n. 44/2021, va osservato che essa, nella parte in cui è imposto l’obbligo vaccinale, non sostituisce alcun provvedimento amministrativo tipico (e questo proprio perché, come si è detto, l’art. 32 Cost. prevede al riguardo una riserva di legge), mentre con riguardo agli effetti sul rapporto di lavoro sostituisce gli atti datoriali o i provvedimenti amministrativi che in generale sono riservati ai datori di lavoro (pubblici o privati). Pertanto in subiecta materia il G.A. dispone di giurisdizione solo con riguardo alle controversie promosse da dipendenti pubblici “in regime di diritto pubblico” che intendano contestare l’obbligo vaccinale e le implicazioni che dall’inosservanza di tale obbligo discendono sul rapporto di impiego ...”. 5.4. Nella coeva sentenza n. 881/2021 il T.A.R. ha svolto le seguenti ulteriori considerazioni alla luce degli argomenti svolti dalla parte ricorrente a sostegno della giurisdizione amministrativa: “…va osservato che…l’art. 4 del D.L. n. 44/2021 è stato da ultimo novellato dal D.L. n. 172/2021 (il quale, come è noto, ha ribadito l’obbligo vaccinale per gli esercenti le professioni sanitarie e lo ha esteso ad altre categorie di lavoratori, sia pubblici “in regime di diritto pubblico”, sia pubblici “privatizzati”, sia privati), che, con riguardo al personale sanitario, ha modificato l’iter procedurale previsto in origine dalla norma, escludendone le aziende sanitare locali e affidando per intero la competenza a gestire la fase di accertamento agli Ordini professionali. Questo all’evidente fine, comprovato dall’espresso richiamo al D.Lgs. C.P.S. n. 233/1946, di dirottare le controversie scaturenti dall’accertamento dell’inosservanza dell’obbligo alla Commissione Centrale per gli Esercenti le Professioni Sanitarie, con ciò ponendo probabilmente un problema di costituzionalità (di cui però non è necessario disquisire in questa sede). Quanto invece alla peculiarità della vicenda che interessa il dott. … va osservato che, seppure nella specie non viene in rilievo un’obiezione all’obbligo vaccinale, ugualmente la controversia è sottratta alla giurisdizione del G.A., atteso che: - anche la reclamata necessità di differire la vaccinazione attiene pur sempre alla tutela del diritto alla salute, visto che la previsione di un termine minimo decorrente dal momento della accertata guarigione è legata a valutazioni di natura medica e non certamente amministrativa; - premesso che nella specie l’A.S.U.R. ha provato che il ricorrente non ha fornito alcuna documentazione sanitaria a seguito dell’originario invito alla vaccinazione e che, decorso il termine minimo previsto dalle circolari ministeriali vigenti ratione temporis, la vaccinazione è eseguibile in ogni momento (non esistendo, per converso, il diritto ad avvalersi del termine massimo, che, seppure indicato nelle medesime circolari, è puramente orientativo e soggetto a continua rivalutazione da parte degli organi tecnici ministeriali), l’eventuale errata applicazione da parte dell’azienda sanitaria delle disposizioni di legge non trasforma un atto di accertamento in un provvedimento. Si tratta, del resto, di uno scenario comune a tutte le controversie, non attribuite alla competenza del G.A. (si pensi all’impugnazione di una sanzione amministrativa ex L. n. 689/1981 o di un diniego di iscrizione ad un albo professionale), in cui una pubblica amministrazione o un soggetto privato preposti a svolgere funzioni di rilievo pubblicistico (ad esempio un Ordine professionale) sono chiamati ad applicare disposizioni di legge puntuali previo assolvimento di determinati adempimenti procedurali. La violazione di tali regole procedurali non determina il mutamento della giurisdizione sulla causa principale, neanche laddove si volesse predicare la nullità della procedura per carenza assoluta di attribuzioni (vizio che, peraltro, nella specie non è predicabile, potendosi al più parlare di violazione di legge e/o di circolari amministrative). Infine va osservato che è certamente vero che, con riguardo alle categorie di dipendenti pubblici c.d. privatizzati, l’art. 63 del D.Lgs. n. 165/2001 ammette la “doppia tutela”, ma, con riguardo al versante del G.A., ciò presuppone l’esistenza di provvedimenti di organizzazione da impugnare davanti al loro giudice “naturale”. Nel caso di specie…le aziende sanitarie competenti per territorio non sono chiamate ad adottare alcun provvedimento (e tantomeno un atto di organizzazione o di macro-organizzazione), avendo in questo senso già disposto il legislatore…”. 5.5. Nelle suddette sentenze il Tribunale ha ovviamente dato conto dell’esistenza di numerose pronunce del G.A. che hanno deciso nel merito ricorsi analoghi a quello proposto dal dott. -OMISSIS- o hanno comunque ritenuto sussistente la giurisdizione del giudice amministrativo (ex multis, T.A.R. Friuli Venezia Giulia n. 261/2021, Consiglio di Stato n. 7045/2021, T.A.R. Lazio n. 11543/2021 e, da ultimo, T.A.R. Milano n. 109/2022 e C.G.A.R.S., ordinanza n. 351/2022), così come ha rilevato l’esistenza di decisioni di merito dell’A.G.O., ma, per le ragioni esposte in precedenza, ha ritenuto di dichiarare il difetto di giurisdizione del G.A. Per completezza va segnalato che il Tribunale sta invece trattenendo in decisione recenti analoghi ricorsi proposti da dipendenti pubblici appartenenti a comparti del pubblico impiego “non privatizzati” (Polizia di Stato, Forze Armate, etc.) ai quali è stato imposto nel corso del 2021 l’obbligo vaccinale, la cui inottemperanza ha determinato la sospensione dal servizio degli interessati. 6. Con specifico riguardo alla posizione della ricorrente vengono in rilievo le considerazioni svolte dal Tribunale nella citata sentenza n. 881/2021 (§ 5.4.), perché, come si è visto nell’esposizione in fatto, nella specie anche l’accertamento dell’inosservanza dell’obbligo vaccinale, in base alla novella di cui al D.L. n. 172/2021, è stato compiuto dall’Ordine professionale (mentre in precedenza, come è noto, questa fase era di competenza dell’A.S.L. di residenza dell’interessato), il che, come il T.A.R. ha evidenziato nella citata sentenza n. 881, risponde all’evidente fine del legislatore, comprovato dall’espresso richiamo al D.Lgs.C.P.S. n. 233/1946, di dirottare le controversie scaturenti dall’accertamento dell’inosservanza dell’obbligo alla Commissione Centrale per gli Esercenti le Professioni Sanitarie. 7. Alla luce delle suesposte considerazioni il ricorso va dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione del G.A. e va per converso affermata, ai sensi degli artt. 5, 6 e 18 del D.Lgs.C.P.S. n. 233/1946 e per gli effetti di cui all’art. 11 c.p.a., la competenza della Commissione Centrale per gli Esercenti le Professioni Sanitarie. Le spese del giudizio si possono però compensare, attesa la novità della questione di giurisdizione. (OMISSIS)  

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