Risoluzione ex D.lg.vo 180/2015 – Banca delle Marche – legittimità

22.01.2019 – Consiglio di Stato Sez. VI – Sent. 550 Pres. Santoro Est. Caputo

31/01/2020

Fondazione X ha appellato la sentenza del Tar Lazio n. 12884 del 2016, di reiezione del ricorso proposto per l’annullamento degli atti con i quali Banca Y e il Ministero hanno disposto l’avvio della risoluzione della Banca A, già in amministrazione straordinaria, e hanno adottato i provvedimenti conseguenti. Cumulativamente la ricorrente formulava domanda di risarcimento danni, denunciando nell’atto introduttivo, quanto al profilo istituzionale, il difetto del presupposto dell’assenza di misure alternative, previsto dal d.lgs. n. 180 del 2015, per disporre la risoluzione della Banca, nonché l’inattendibilità dei criteri utilizzati per la valutazione delle perdite patrimoniali e dei crediti in sofferenza, in una con l’inesistenza delle ragioni di urgenza che consentono l’avvio della risoluzione sulla base di una valutazione provvisoria. In aggiunta, sotto il profilo patrimoniale di tutela dell’asset azionario, la Fondazione X lamentava il deteriore trattamento riservato agli azionisti e ai creditori in quanto sproporzionato rispetto alle misure di risoluzione adottate. Infine la ricorrente sollecitava il vaglio di non manifesta irrilevanza della questione di costituzionalità del d.lgs. n. 180 del 2015. Con motivi aggiunti, la Fondazione X ha impugnato la valutazione definitiva depositata da Banca Y in corso di causa laddove ha confermato in larga misura le conclusioni e le stime già adottate in sede di valutazione provvisoria. Basandosi sulle ingenti perdite del patrimonio e sulle documentate irregolarità gestionali accusate dalla Banca A, il TAR ha respinto l’impugnazione. Infine l’entità delle perdite della Banca A deponeva ipso facto per l’irrilevanza nel giudizio de quo della questione di legittimità costituzionale sollevata con riferimento all’art. 95 del d.lgs. n. 180 del 2015. Ha avuto termine l’articolato procedimento di risanamento della Banca A. Di conseguenza, sul piano processuale, va affermata l’improcedibilità dell’appello con riguardo ai motivi di appello che, sul piano istituzionale alla (pretesa) continuità dell’attività bancaria pregressa, censurano l’assenza dei presupposti, previsti dal d.lgs. n. 180 del 2015, per disporre la risoluzione della Banca A che, s’è definitivamente conclusa con la vendita della nuova Banca A alla Banca B. Residuano alla cognizione di merito le censure che lamentano il pregiudizio patrimoniale sofferto dalla Fondazione X per l’avvio della procedura di risoluzione in luogo della liquidazione coatta amministrativa, e da cui ha preso le mosse la domanda di risarcimento danni cumulativamente proposta con quella d’annullamento. Di fatto l’appellante radica il danno in un giudizio controfattuale. Secondo l’appellante se all’amministrazione straordinaria della Banca, già commissariata, avesse fatto seguito la liquidazione coatta amministrativa, non si sarebbe prodotto l’azzeramento dei diritti degli azionisti e dei sottoscrittori di obbligazioni subordinate, foriero dell’eventus damni dedotto in giudizio. La domanda di risarcimento è infondata. Con riguardo alla disciplina giuridica applicabile, non va passato sotto silenzio l’immediata cessione dell’azienda bancaria ad altro Istituto di credito con subentro “universale” nelle attività, passività e rapporti pendenti della Banca A assoggettata a liquidazione coatta amministrativa è stata nei fatti tentata da Banca Y senza alcun esito positivo. In aggiunta, non è più consentito l’intervento del Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi (F.I.T.D) per colmare lo “sbilancio di cessione” tra attività cedute e passività accollate alla banca cessionaria, con rapporti di entità progressiva sino alla ultimazione delle attività funzionali alla predisposizione della “situazione patrimoniale trapasso” definitiva, a cui fa seguito la liquidazione degli attivi residui della banca assoggettata a L.C.A. per il soddisfacimento delle passività non trasferite alla banca cessionaria. Dal 2013 l’intervento del F.I.T.D. è considerato “aiuto di Stato”, come tale tendenzialmente vietato dalla normativa di settore comunitaria. D’altra parte, e conclusivamente sul punto, l’appellante non ha assolto il benché minimo onere probatorio, finanche di allegazione del pregiudizio patrimoniale sofferto (c.d. conseguenza). Viceversa gli appellati hanno dimostrato che se si fosse seguita l’ordinaria procedura della liquidazione coatta amministrativa, una volta ceduto l’attivo, la massa attiva sarebbe stata posta a servizio dei creditori con nessun ritorno monetario per azionisti ed obbligazionisti subordinati. L’improcedibilità in parte e l’infondatezza per l’altra dell’appello conducono alla declaratoria d’irrilevanza, nel giudizio a quo, delle questioni di costituzionalità genericamente dedotte dall’appellante. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe esposto, lo dichiara in parte improcedibile e per altra parte infondato.

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