Struttura privata convenzionata ed accreditata (Laboratorio analisi) - prestazioni sanitarie – budget annuale – mancata sottoscrizione accordo – limiti alla spesa – difetto di giurisdizione -

18.06.2020 TAR MARCHE N. 392/2020 REG.PROV.COLL. - Pres. CONTI – EST. CAPITANIO

06/07/2020

Il ricorrente Laboratorio analisi chiede la condanna delle amministrazioni intimate al pagamento di somme dovute per prestazioni erogate in regime di convenzione con il Servizio Sanitario Regionale. In primo luogo il collegio ha dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione del G.A., e ciò sia alla luce della sentenza n. 292 del 2000 della Corte Costituzionale (recante la declaratoria di incostituzionalità, per eccesso di delega, dell’art. 33, commi 1, 2 e 3, del D.Lgs. n. 80/1998) sia alla luce della successiva sentenza della Consulta n. 204 del 2004 (recante la declaratoria di incostituzionalità delle norme della L. n. 205/2000 con cui il legislatore aveva tentato di “sterilizzare” gli effetti della sentenza n. 292/2000). Come è noto, a seguito della sentenza n. 204 del 2004 le controversie aventi ad oggetto pretese meramente patrimoniali discendenti da rapporti di accreditamento di strutture sanitarie private con il S.S.N. sono di competenza dell’A.G.O. (ex multis, TAR Lecce, n. 4019/2007). E, come è altrettanto noto, l’art. 5 c.p.c. (secondo cui “La giurisdizione e la competenza si determinano con riguardo alla legge vigente e allo stato di fatto esistente al momento della proposizione della domanda, e non hanno rilevanza rispetto ad esse i successivi mutamenti della legge o dello stato medesimo”) viene costantemente interpretato dalla Corte di Cassazione nel senso che la norma “…si riferisce esclusivamente all'effetto abrogativo determinato dal sopravvenire di una nuova legge, e non anche all'effetto di annullamento dipendente dalle pronunce di incostituzionalità …” (da ultimo, si veda la sentenza delle Sezioni Unite n. 11136/2016). Va poi osservato che: - al fine di radicare la giurisdizione del G.A. non è sufficiente impugnare un atto amministrativo purchessia oppure articolare censure che fanno riferimento alle consolidate categorie del procedimento e del processo amministrativo (id est, ai vizi di legittimità dei provvedimenti), oppure ancora proporre uno actu anche la domanda risarcitoria ex art. 7 della L. n. 205/2000 (nella parte non incisa dalla citata sentenza della Consulta n. 204 del 2004), dovendosi guardare pur sempre al petitum sostanziale; Tuttavia, poiché Medilab ha proposto uno actu anche la domanda risarcitoria, le censure inerenti i procedimenti attraverso cui l’A.S.L. ha fissato i succitati tetti di spesa vanno comunque esaminate, essendo venuta meno la regola della c.d. pregiudiziale amministrativa e non essendo applicabile nella specie, ratione temporis, il termine di 120 giorni di cui all’art. 30 c.p.a. Le doglianze in commento sono infondate, dal che discende il rigetto della domanda risarcitoria. Va premesso che tali censure risentono in maniera evidente del contesto storico in cui il ricorso n. 1116/2000 R.G. è stato proposto. In effetti, nei primi anni di applicazione della riforma del S.S.N. introdotta dal D.Lgs. n. 502/1992 e in seguito incisivamente modificata dal D.Lgs. n. 229/1999 la giurisprudenza amministrativa aveva ritenuto che l’ottica privatistica e aziendalistica a cui era improntata la riforma riguardasse anche i profili che odiernamente occupano il Tribunale, per cui erano frequenti le pronunce che valorizzavano il momento concertativo fra le aziende sanitarie e le strutture private “convenzionate” con il S.S.N. e che ritenevano illegittimi i provvedimenti delle AA.SS.LL. che fissavano i tetti di spesa annuali in assenza di contrattazione e/o nel corso dell’anno di riferimento (e ciò sul presupposto che ciascuna struttura convenzionata ha diritto di sapere fin dall’inizio dell’anno quale sarà il budget che le è stato assegnato). Nella stessa linea di pensiero si sono poste successive decisioni del G.A. che hanno prospettato la possibile incostituzionalità di norme di legge statale e regionale che, ad onta del dettato del D.Lgs. n. 502/1992 e s.m.i., non prevedevano, ai fini della fissazione dei budget, la comparazione fra strutture pubbliche e strutture private. Altro profilo spesso contestato era quello inerente al criterio normalmente utilizzato dalle AA.SS.LL. per fissare i tetti di spesa, ossia quello della spesa storica. Quanto al criterio della spesa storica, e fermo restando quanto si dirà infra, lo stesso era previsto già dall’art. 19 della L. n. 67/1988 ed è stato poi ribadito in numerose norme successive. Tornando dunque al discorso principale, questo Tribunale, con le recenti sentenze nn. 437 e 438 del 2019, ha così riepilogato i passaggi salienti che si sono registrati in subiecta materia nel corso degli anni, svolgendo ovviamente anche considerazioni riferite specificamente ai casi in trattazione (e che nel prosieguo vengono riportate solo nelle parti di interesse nel presente giudizio): “….Va in premessa evidenziato che la domanda impugnatoria si fonda in realtà su un unico sostanziale motivo di doglianza, ossia il fatto che la determinazione del budget per l’anno […] non sia stato preceduto dalla contrattazione fra l’A.S.U.R. […] e la struttura sanitaria ricorrente. Da tale “vizio genetico”, in tesi di parte ricorrente, discendono le altre censure, le quali non rivestono in realtà rilievo autonomo. Lo stesso laboratorio […], del resto, afferma in maniera chiara che la questione relativa alla determinazione del volume di prestazioni da erogare e del corrispondente “tetto di spesa” costituiscono problemi successivi rispetto alla necessaria fase di negoziazione. 8. Ora, sul punto è facile operare la seguente riflessione, la cui portata sarà meglio chiarita dalle considerazioni che saranno svolte nel prosieguo. L’assunto di parte ricorrente sembra presupporre l’esistenza in capo alle strutture sanitarie private accreditate con il SSR (ma il discorso dovrebbe valere anche per le strutture pubbliche, le quali pure hanno assegnati dei budgets) di un “diritto alla contrattazione” che avrebbe rilievo autonomo rispetto ai contenuti della contrattazione stessa. Si dovrebbe cioè ritenere che, ai fini del soddisfacimento di tale interesse, sarebbe sufficiente che l’Azienda Sanitaria Locale – […] - convochi i rappresentanti delle strutture accreditate presso i propri uffici e comunichi i propri fabbisogni; laddove i privati non dovessero condividere i dati resi noti dall’A.S.L. si potrebbe aprire una discussione fra le parti. Ma quid iuris laddove non si riuscisse a trovare un accordo? E’ evidente che l’A.S.L., tenuta ex lege a garantire ai cittadini le prestazioni sanitarie previste dai L.E.A., dovrebbe a questo punto imporre le proprie scelte unilaterali. Ma, in un’ottica meramente civilistica, non si potrebbe negare che una “contrattazione” vi sia stata, ancorché svolta fra soggetti arroccati sulle rispettive posizioni e quindi non produttiva dell’accordo contrattuale. Se a questo si aggiunge che, come detto, lo stesso ricorrente afferma che la questione relativa al contenuto della negoziazione dovrebbe essere oggetto di separato giudizio, ne consegue che questo asserito “diritto alla contrattazione” in realtà non esiste. 9. Il ricorso muove dunque da un presupposto erroneo, che fra l’altro nemmeno nel campo del diritto privato è riscontrabile nella forma “pura” evidenziata da parte ricorrente. Ciò che si vuole dire è che lo schema “procedurale” disegnato dagli artt. 1326 e ss. c.c. non è ormai più quello prevalente neanche nei rapporti fra soggetti privati, essendo stato lo stesso soppiantato da forme diverse di contrattazione, ed in particolare dai contratti c.d. per adesione, nei quali le condizioni di contratto sono predisposte da una delle parti e accettate (molto spesso senza possibilità di deroghe) dalla controparte. Ma, del resto, questo scenario è anche quello che ordinariamente caratterizza i contratti passivi stipulati dalle amministrazioni pubbliche a seguito di gare d’appalto, le quali si connotano proprio per il fatto che la stazione appaltante indica nel bando quali sono i beni e i servizi di cui necessita, mentre le imprese concorrenti indicano il prezzo a cui sono disposte a fornire tali beni e servizi. Questo discorso, a differenza di quanto opina il laboratorio ricorrente, vale anche laddove il rapporto sia di natura concessoria, anzi in questo caso la “P.A. concedente” dispone di poteri ben più ampi rispetto a quelli di cui è titolare la “P.A. contraente”. E allora non si vede la ragione per la quale nello specifico settore oggetto del presente giudizio dovrebbero valere dinamiche diverse, in relazione alle quali i soggetti privati accreditati con il SSN e con i singoli SSR dovrebbero essere abilitati a stabilire, di concerto con le aziende sanitarie, le tipologie e i volumi di prestazioni che le aziende sanitarie medesime non sono in grado di autoprodurre e che sono dunque costrette ad acquistare sul mercato (fermo restando che le tariffe sono fissate dall’amministrazione con atti regolamentari o generali). Certamente nulla vieta che le AA.SS.LL. possono procedere nel senso invocato dalla struttura ricorrente, ma tale modus procedendi non è di certo imposto dalla pertinente normativa di cui al D.Lgs. n. 502/1992 e s.m.i. Peraltro, senza essere smentita sul punto, l’A.S.U.R. ha evidenziato che la branca delle analisi di laboratorio sin dal 2000 figura fra quelle che la Regione Marche ha ritenuto di dover depotenziare, alla luce del corrispondente potenziamento dei laboratori operanti presso le strutture pubbliche. Questo è tanto vero che sia il laboratorio ricorrente che […] negli ultimi anni si sono visti riconfermare il medesimo budget “storico”. 10. In realtà, il ricorso risente di un dibattito dottrinale e giurisprudenziale che all’epoca della sua proposizione era ancora in parte vivo, ma che in seguito è stato definitivamente superato anche in ragione di alcune rilevanti decisioni della Corte Costituzionale e, successivamente, del Consiglio di Stato e dei Tribunali Amministrativi Regionali. In particolare, un più attento e sistematico esame della normativa via via emanata dal legislatore nazionale (e la cui legittimità è stata sancita dalla Corte Costituzionale) ha portato la giurisprudenza a ridimensionare enormemente gli spazi di contrattazione che il D.Lgs. n. 502/1992 aveva voluto inizialmente prevedere. 10.1. Al riguardo, il Collegio ritiene di poter richiamare le sentenze della Corte Costituzionale n. 111/2005, n. 200/2005, n. 257/2007 e n. 94/2009, dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 4 del 2012, nonché, ex plurimis, la sentenza del T.A.R. Marche n. 704/2012 (confermata dal Consiglio di Stato, III, con sentenza n. 3335/2014) e i principi fondamentali desumibili da tali pronunce: - “…..la norma censurata [in quel caso si trattava di una disposizione regionale pugliese] deve essere interpretata nel senso che, ai fini della remunerazione per intero a valori attuali (riferiti cioè all'anno in cui effettivamente le prestazioni siano state rese), i volumi delle prestazioni medesime, vale a dire la loro quantità e, correlativamente, la spesa complessiva, non possono essere superiori a quelli del 1998. Ciò premesso, il riferimento – contenuto nella norma de qua – ai predetti volumi e limiti di spesa si presenta come il frutto, da parte del legislatore regionale, di una scelta discrezionale di politica sanitaria e di contenimento della spesa, la quale, tenuto conto della ristrettezza delle risorse finanziarie dirette a soddisfare le esigenze del settore, non risulta viziata da intrinseca irragionevolezza. Non ricorre, dunque, quella evenienza che, sola, può giustificare l'intervento sulla norma da parte di questa Corte, in applicazione del parametro di cui all'art. 3 della Costituzione. Non appare dubbio, infatti, che nel sistema di assistenza sanitaria – delineato dal legislatore nazionale fin dalla emanazione della legge di riforma sanitaria, 23 dicembre 1978, n. 833 (Istituzione del Servizio sanitario nazionale) – l'esigenza di assicurare la universalità e la completezza del sistema assistenziale nel nostro Paese si è scontrata, e si scontra ancora attualmente, con la limitatezza delle disponibilità finanziarie che annualmente è possibile destinare, nel quadro di una programmazione generale degli interventi di carattere assistenziale e sociale, al settore sanitario. Di qui la necessità di individuare strumenti che, pur nel rispetto di esigenze minime, di carattere primario e fondamentale, del settore sanitario, coinvolgenti il «nucleo irriducibile del diritto alla salute protetto dalla Costituzione come ambito individuale della dignità umana» (sentenza n. 509 del 2000), operino come limite alla pienezza della tutela sanitaria degli utenti del servizio….” (sentenza n. 111/2005); - non è senza significato “…..che dall'esame di varie disposizioni della legislazione sanitaria statale, emerga come in più occasioni il legislatore abbia fatto riferimento al sistema di determinazione della spesa sanitaria sulla base del dato storico rappresentato dall'esborso effettuato in anni precedenti rispetto a quello preso in considerazione. E ciò è avvenuto proprio nella sede delle annuali leggi finanziarie, vale a dire in una sede specificatamente destinata alla fissazione dei princípi in ordine al finanziamento della spesa necessaria per l'espletamento del servizio di assistenza sanitaria in favore della popolazione. Al riguardo, si può richiamare, come capofila di tale orientamento, la legge 23 dicembre 1994, n. 724 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), la quale, nel Capo I, la cui rubrica reca «Disposizioni in materia sanitaria», all'art. 6, comma 1, ha previsto che «la spesa per l'acquisto di beni e servizi non può superare, a livello regionale, l'importo registrato nell'esercizio 1993 ridotto del 18 per cento per l'anno 1995, del 16 per cento per l'anno 1996 e del 14 per cento per l'anno 1997». Deve, altresì, essere richiamato anche l'art. 1, comma 32, della legge 23 dicembre 1996 n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), secondo cui «le Regioni, per l'esercizio 1997, nell'ambito delle funzioni previste dall'articolo 2, comma 2, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni, individuano, nel rispetto dei livelli di spesa stabiliti per l'anno 1996, le quantità e le tipologie di prestazioni sanitarie che possono essere erogate nelle strutture pubbliche e in quelle private». Il criterio, dunque, di ancorare l'ammontare della spesa sanitaria ai dati storici concernenti gli stanziamenti previsti per anni precedenti è stato più volte seguito dalla legislazione statale. Ne è prova, tra l'altro, la circostanza che, da ultimo, la legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2007) all'art. 1, comma 565, lettera a), ha reiterato il suddetto criterio, stabilendo che «gli enti del Servizio sanitario nazionale […] concorrono alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica adottando misure necessarie a garantire che le spese del personale, al lordo degli oneri riflessi a carico delle amministrazioni e dell'IRAP, non superino per ciascuno degli anni 2007, 2008 e 2009 il corrispondente ammontare dell'anno 2004 diminuito dell'1,4 per cento»…” (sentenza n. 257/2007, […]); - “….l'attuale disciplina dell'erogazione e della remunerazione delle prestazioni sanitarie costituisce l'esito di una evoluzione legislativa che, per quanto qui interessa, è stata avviata dalla legge 23 dicembre 1978, n. 833, che aveva definito un'organizzazione della sanità caratterizzata dall'erogazione delle prestazioni da parte delle strutture pubbliche, ovvero (in casi particolari e previa autorizzazione dell'Unità sanitaria locale, U.s.l.) da parte di strutture convenzionate. Successivamente, il regime convenzionale è stato sostituito con l'introduzione (decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502) del cd. accreditamento delle strutture che avrebbero potuto erogare le prestazioni sanitarie e della disciplina delle remunerazioni delle medesime mediante il sistema “a tariffa”. Sistema questo caratterizzato dal potere dello Stato (confermato dall'art. 120, comma 1, lettera o), del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112) di definire i criteri generali per la fissazione delle tariffe (all'esito di un particolare procedimento che vedeva il coinvolgimento delle Regioni) e da quello delle Regioni di articolare entro un determinato ambito le tariffe applicabili nel proprio territorio (art. 8, comma 5, d.lgs. n. 502 del 1992, poi sostituito dall'art. 9 del d.lgs. 7 dicembre 1993, n. 517, e, successivamente, modificato dall'art. 6 della legge 23 dicembre 1994, n. 724; art. 2, comma 9, legge 28 dicembre 1995, n. 249). L'entrata in vigore di questa nuova disciplina è stata, tuttavia, dapprima, in parte, differita nel tempo e, in seguito, nuovamente modificata. In particolare, le innovazioni sono consistite, tra l'altro, nel prevedere un atto con il quale le Regioni e le U.s.l., sulla base di indicazioni regionali, avrebbero dovuto contrattare, «sentite le organizzazioni di categoria maggiormente rappresentative, con le strutture pubbliche private ed i professionisti eroganti prestazioni sanitarie un piano annuale preventivo che ne stabilisca quantità presunte e tipologia, anche ai fini degli oneri da sostenere» (art. 2, commi 7 ed 8, della legge 28 dicembre 1995, n. 549), individuando quantità e tipologie di prestazioni sanitarie erogabili nelle strutture pubbliche e in quelle private (relativamente all'anno 1997, art. 1, comma 32, della legge n. 23 dicembre 1966, n. 662), nonché, per ciascuna istituzione sanitaria pubblica e privata, i limiti massimi annuali di spesa sostenibile, i preventivi annuali delle prestazioni, gli indirizzi e le modalità per la citata contrattazione. L'elevato e crescente deficit della sanità e le esigenze di bilancio e di contenimento della spesa pubblica, nonché di razionalizzazione del sistema sanitario, hanno, infatti, imposto di tenere conto dell'esigenza di una programmazione, in seguito rafforzata con le innovazioni introdotte dal d.lgs. 19 giugno 1999, n. 229, che ha modificato il d.lgs. n. 502 del 1992. L'accreditamento delle strutture è stato configurato come atto connotato da profili di discrezionalità amministrativa, avente ad oggetto la verifica concernente la funzionalità delle stesse rispetto agli indirizzi di programmazione regionale (art. 8-quater, comma 1), atto comunque da solo insufficiente a consentire l'erogazione di prestazioni a carico del S.s.n. Siffatta erogazione è stata, infatti, subordinata alla stipula di appositi accordi contrattuali, con i quali neppure è acquistata una certa quantità di servizi, ma è soltanto autorizzata l'erogazione delle prestazioni entro un tetto massimo prefissato (art. 8-quinquies), da remunerare con il sistema a tariffa […]. L'evoluzione della disciplina ha determinato un assetto caratterizzato dalla programmazione del numero e dell'attività dei soggetti erogatori, in modo da evitare il rischio di una sottoutilizzazione delle strutture pubbliche; dalla ripartizione preventiva della domanda tra un numero chiuso di soggetti erogatori e dalla facoltà di scelta dell'assistito solo all'interno del novero delle strutture accreditate; dalla remunerazione in base al sistema a tariffa, allo scopo di ottenere un maggiore controllo della spesa, programmata e suddivisa tra i diversi soggetti erogatori, grazie alla fissazione di volumi massimi delle prestazioni erogabili. 7.2.- È in questo contesto che si collocano entrambe le disposizioni censurate. In particolare, con la norma statale, il legislatore ordinario ha inteso conseguire la finalità, espressamente dichiarata, di «garantire il rispetto degli obblighi comunitari e la realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica per il triennio 2007-2009, in attuazione del protocollo di intesa tra il Governo, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano per un patto nazionale per la salute sul quale la Conferenza delle regioni e delle province autonome, nella riunione del 28 settembre 2006, ha espresso la propria condivisione» (art. 1, comma 796, della legge n. 296 del 2006), concordando, in buona sostanza, sull'obiettivo di ridurre la spesa sanitaria, realizzato, tra l'altro, precisamente con detta norma, mediante la fissazione delle tariffe massime ed uno sconto, nei termini sopra indicati […]. In relazione a detti profili, assumono rilievo la particolarità del S.s.n., che richiede al legislatore ordinario di bilanciare le esigenze, da un lato, di garantire egualmente a tutti i cittadini, e salvaguardare, sull'intero territorio nazionale, il diritto fondamentale alla salute, nella misura più ampia possibile; dall'altro, di rendere compatibile la spesa sanitaria con la limitatezza delle disponibilità finanziarie che è possibile ad essa destinare, nel quadro di una programmazione generale degli interventi da realizzare in questo campo (tra le molte, sentenze n. 203 del 2008, n. 257 del 2007, n. 279 del 2006, n. 200 del 2005). Siffatto bilanciamento costituisce il frutto di una scelta discrezionale compiuta, di regola, nella sede a tanto specificamente destinata, cioè con la legge annuale finanziaria; scelta che, tenuto conto della ristrettezza delle risorse finanziarie da destinare al settore, non può ritenersi viziata da intrinseca irragionevolezza per la sola circostanza di fare riferimento a dati pregressi (con riguardo ai limiti di spesa, sentenze n. 257 del 2007, n. 111 del 2005), anche con riguardo al profilo qui in esame […]. 7.3.- La censura riferita all'art. 3 Cost., sotto il profilo della disparità di trattamento tra strutture accreditate, pubbliche e private, e tra strutture private che erogano o meno prestazioni per conto del S.s.n., del pari non è fondata. La equiordinazione delle prime, esclusa da questa Corte, sia pure in relazione ad uno specifico profilo (concernente le fonti di finanziamento complessivo delle medesime, sentenza n. 111 del 2005), comunque già da solo sufficiente ad incidere sull'asserita omologia delle situazioni, deve infatti essere esclusa, tra l'altro, in quanto la doverosa peculiarità connessa alla natura pubblica della struttura comporta che su di essa grava l'obbligo di prestare i servizi, anche oltre il tetto di spesa assegnato. La evidente diversità delle situazioni delle strutture private che erogano prestazioni per conto del S.s.n., ovvero di privati, rende inoltre chiara l'insussistenza della denunciata violazione del principio di eguaglianza in riferimento a queste fattispecie in comparazione […]. 7.4.- La denuncia proposta in relazione all'art. 32 Cost., sotto i profili della lesione del diritto di libera scelta dell'assistito e della possibile incidenza della disciplina in esame sulla continuità dei rapporti e sulla permanenza delle strutture private all'interno della organizzazione del S.s.n., con eventuale pregiudizio della funzionalità di quest'ultimo, in danno della tutela della salute, non è fondata. In ordine al primo profilo, è sufficiente ribadire, come questa Corte ha già affermato, che il principio di libera scelta non è assoluto e va contemperato con gli altri interessi costituzionalmente protetti, in considerazione dei limiti oggettivi che lo stesso legislatore ordinario incontra in relazione alle risorse finanziarie disponibili (sentenze n. 267 del 1998, n. 416 del 1996). 7.7.- Non sono, infine, fondate le censure svolte in riferimento agli artt. 117, terzo comma, e 119 Cost. In linea preliminare, occorre ribadire che lo scopo perseguito dal legislatore, di evitare l'aumento incontrollato della spesa sanitaria, è compatibile con i principi espressi da detti parametri costituzionali, nella considerazione bilanciata – che appartiene all'indirizzo politico dello Stato, nel confronto con quello delle Regioni – della necessità di assicurare, ad un tempo, l'equilibrio della finanza pubblica e l'uguaglianza di tutti i cittadini nel godimento dei diritti fondamentali, tra cui indubbiamente va ascritto il diritto alla salute (sentenza n. 203 del 2008). Ed è appunto perché il diritto alla salute spetta ugualmente a tutti i cittadini e va salvaguardato sull'intero territorio nazionale che detta spesa, in considerazione degli obiettivi della finanza pubblica e delle costanti e pressanti esigenze di contenimento della spesa sanitaria, si presta ad essere tendenzialmente manovrata, in qualche misura, dallo Stato (tra le tante, sentenze n. 203 del 2008, n. 193 e n. 98 del 2007)….” (sentenza n. 94/2009); - “…Il nuovo modello di servizio sanitario nazionale, che si è andato delineando a partire dal d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, è ispirato alla coniugazione del principio di libertà dell’utente con il principio di programmazione delle prestazioni a carico del servizio pubblico. Quanto al primo profilo, la legislazione cristallizza il diritto dell’utente alla scelta della struttura di fiducia per la fruizione dell'assistenza sanitaria, riconoscendo la qualità di erogatori delle prestazioni sanitarie a tutti i soggetti, pubblici e privati, titolari di rapporti fondati sul criterio dell'accreditamento delle istituzioni, sulla modalità di pagamento a prestazione e sull'adozione del sistema di verifica e revisione della qualità delle attività svolte e delle prestazioni erogate" (articolo 8, comma 7, del d.lgs. n. 502 del 1992). Il principio della necessaria programmazione sanitaria è, invece, perseguito con l'adozione di un piano annuale preventivo, finalizzato ad un controllo tendenziale sul volume complessivo della domanda quantitativa delle prestazioni mediante la fissazione dei livelli uniformi di assistenza sanitaria e l’elaborazione di protocolli diagnostici e terapeutici, ai quali i medici di base sono tenuti ad attenersi, nella prescrizione delle prestazioni. Il suddetto piano preventivo, previsto inizialmente per le sole aziende ospedaliere (articolo 6, comma 5, legge 23 dicembre 1994, n. 724), è stato esteso dall'articolo 2, comma 8, della legge 28 dicembre 1995, n. 549 a tutti i soggetti, pubblici e privati, accreditati. Il principio della pianificazione preventiva è stato poi confermato, con significative modifiche, dall'articolo 1, comma 32, della legge 23 dicembre 1996, n. 662. L'evoluzione della disciplina della programmazione sanitaria è stata in seguito caratterizzata dal progressivo accentuarsi del carattere autoritativo della pianificazione. In particolare, ai sensi dell’art. 32, comma 8, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, le Regioni, in attuazione della programmazione sanitaria ed in coerenza con gli indici di cui all'art. 2 comma 5 della legge 28 dicembre 1995 n. 549 e successive modificazioni, individuano preventivamente, per ciascuna istituzione sanitaria pubblica e privata, compresi i presidi ospedalieri di cui al comma 7, o per gruppi di istituzioni sanitarie, i limiti massimi annuali di spesa sostenibile con il Fondo sanitario ed i preventivi annuali delle prestazioni, nonché gli indirizzi e le modalità per la contrattazione di cui all'art. 1, comma 32, della legge 23 dicembre 1996, n. 662. Alle Regioni è stato pertanto affidato il compito di adottare determinazioni di natura autoritativa e vincolante in tema di limiti alla spesa sanitaria, in coerenza con l'esigenza che l'attività dei vari soggetti operanti nel sistema sanitario si svolga nell'ambito di una pianificazione finanziaria. Alla stregua di detta disciplina spetta ad un atto autoritativo e vincolante di programmazione regionale, e non già ad una fase concordata e convenzionale, la fissazione del tetto massimo annuale di spesa sostenibile con il fondo sanitario per singola istituzione o per gruppi di istituzioni, nonché la determinazione dei preventivi annuali delle prestazioni (Consiglio Stato, sez. V, 25 gennaio 2002, n. 418). Il valore autoritativo e vincolante delle determinazioni in tema di limiti delle spese sanitarie di competenza delle regioni ai sensi dell'art. 32, comma 8, legge 27 dicembre 1997, n. 449, esprime la necessità che l'attività dei vari soggetti operanti nel sistema sanitario si svolga nella cornice di una pianificazione finanziaria. Tale funzione programmatoria, volta a garantire la corretta gestione delle risorse disponibili, rappresenta, quindi, un dato inabdicabile nella misura in cui la fissazione dei limiti di spesa si atteggia ad adempimento di un obbligo che influisce in modo pregnante sulla possibilità stessa di attingere le risorse necessarie per la remunerazione delle prestazioni erogate (Consiglio Stato, sez. V, 25 gennaio 2002 , n. 418 cit.). Questo Consiglio di Stato ha avuto modo più volte di esprimersi in materia di imposizione di tetti di spesa a strutture private accreditate (….) ritenendo che i tetti di spesa siano in via di principio legittimi date le insopprimibili esigenze di equilibrio finanziario e di razionalizzazione della spesa pubblica e che il diritto alla salute, di cui all'articolo 32 della Costituzione, possa essere sottoposto a condizioni che ne armonizzino la protezione con i vincoli finanziari a patto di non scalfirne il nucleo essenziale irriducibile. Le Regioni, nell'esercitare detta potestà programmatoria, godono, quindi, di un ampio potere discrezionale, chiamato a bilanciare interessi diversi, ossia l’interesse pubblico al contenimento della spesa, il diritto degli assistiti alla fruizione di prestazioni sanitarie adeguate, le legittime aspettative degli operatori privati che ispirano le loro condotte ad una logica imprenditoriale e l’assicurazione dell'efficienza delle strutture pubbliche che costituiscono un pilastro del sistema sanitario universalistico. Va soggiunto che il sistema di programmazione è incentrato su di un modello bifasico in seno al quale alla ricordata fase autoritativa regionale segue un momento di negoziazione su base territoriale. In forza di tale modello bifasico plasmato dalla citata legge 27 dicembre 1997, n. 449, la Regione non solo definisce unilateralmente il tetto massimo annuale di spesa sostenibile con il fondo sanitario per singola istituzione o per gruppi di istituzioni ed i preventivi annuali delle prestazioni, ma vincola la successiva contrattazione dei piani determinandone modalità ed indirizzi. In particolare, con tale atto l'amministrazione regionale è chiamata a fissare, in forza di un’adeguata istruttoria, le direttive da seguire nella successiva negoziazione dei piani annuali e, quindi, in sede di determinazione consensuale delle quantità e tipologie di prestazioni erogabili dal singolo operatore. L'atto programmatorio regionale rappresenta, in definitiva, un primo e fondamentale strumento di orientamento per le strutture sanitarie pubbliche e private. Nella fase di negoziazione particolare importanza riveste l'art. 8 bis del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 aggiunto dall’art. 8 del d.lgs. 19 giugno 1999, n. 229, ai sensi del quale (…): L'art. 8 quinquies, aggiunto dall’art. 7 del d.lgs. 19 giugno n. 1999, n. 229 e modificato dall’art. 8 d.lgs. 28 luglio 2000, n. 254, recita a sua volta (…)….” (Adunanza Plenaria, sentenza n. 4 del 2012). 10.2. Calando i suesposti principi nel caso di specie, va rilevato che l’A.S.U.R. Marche e le sue articolazioni territoriali non potevano che applicare le disposizioni di cui alla D.G.R. n. […], con la quale la Regione ha stabilito che i budgets per il […] avrebbero dovuto essere confermativi di quelli dell’anno precedente, fatto salvo il potere delle Zone Territoriali – ma sempre nell’ambito della quota del FSR assegnata loro – di incrementare il budget di alcune strutture sia nell'ambito dei progetti per la riduzione delle liste di attesa che di iniziative per il trasferimento totale o parziale di alcune attività interne (…). Con riguardo alla branca delle analisi di laboratorio si è già detto in precedenza che essa, già dal 2000, figura fra quelle da depotenziare in quanto (…) non sussistono rispetto ad essa particolari problematiche connesse alle liste di attesa. Nella specie, pertanto, in disparte il discorso generale di cui ai precedenti paragrafi 8 e 9, non vi era spazio per una contrattazione relativa alla specifica branca, per cui il modello “bifasico” di cui parla l’Adunanza Plenaria non poteva in concreto operare. E a tal proposito non si può opporre unicamente il fatto che la struttura accreditata abbia erogato, nell’anno precedente, prestazioni in eccedenza rispetto al tetto di spesa (il che, nell’ottica del ricorrente, vorrebbe significare che le strutture pubbliche non sono riuscite a garantire la corretta e regolare erogazione delle medesime prestazioni e che, dunque, il privato abbia supplito a tale deficit). Questa prospettazione, apparentemente suggestiva, non tiene conto di due fondamentali aspetti: - in primo luogo, rileva la circostanza che, avendo stipulato un contratto in cui si prevede l’erogazione di un determinato volume di prestazioni e il relativo corrispettivo, la struttura privata non dovrebbe, nel rispetto dell’obbligo di buona fede, superare il budget se non previa tempestiva comunicazione all’A.S.L. (la quale potrebbe anche autorizzare tale superamento laddove accerti che le strutture pubbliche non sono in grado in quel momento di garantire la tempestiva erogazione delle medesime prestazioni). In realtà molto spesso gli utenti si rivolgono alle strutture private per una maggiore comodità, visto che tali strutture sono solitamente ubicate in modo strategico sul territorio e operano in maniera meno “burocratica” rispetto alle omologhe strutture pubbliche; - in secondo luogo, va considerato che il sistematico superamento del budget da parte delle strutture accreditate e la conseguente rivendicazione del pagamento dei relativi corrispettivi rischia di far saltare le previsioni di spesa di cui al FSR e di mettere dunque in pericolo (anche di commissariamento) la politica sanitaria regionale. 11. Quanto poi ad alcuni profili specifici della presente controversia, si osserva che: - […]; - […] - seppure è vero che, in generale, il c.d. tetto di spesa andrebbe comunicato alla struttura privata accreditata nei primi mesi dell’anno di riferimento (onde consentirle di programmare la propria attività e distribuirla in maniera ottimale nei dodici mesi), è altrettanto vero che, per un verso non esiste un termine perentorio per la comunicazione del budget, […]. In ogni caso, a livello generale l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con le sentenze nn. 8 del 2006 e 4 del 2012, ha stabilito che non è illegittima la fissazione, nel corso dell’anno, di tetti di spesa che incidano sulle prestazioni già erogate dal soggetto accreditato nei primi mesi dell’anno; - la condizione apposta dalla Z.T. n. 4 secondo cui il pagamento delle prestazioni rese dalla struttura accreditata nell’anno di riferimento è subordinato alla sottoscrizione del contratto trova piena legittimazione nel disposto dell’art. 8-quater, comma 2, del D.Lgs. n. 502/1992 e s.m.i. (il quale stabilisce che “…la qualità di soggetto accreditato non costituisce vincolo per le Aziende e gli enti del servizio sanitario nazionale a corrispondere la remunerazione delle prestazioni erogate, al di fuori degli accordi contrattuali di cui all’art. 8-quinquies......”. La norma obbedisce fra l’altro anche al principio generale per cui i contratti della pubblica amministrazione richiedono la forma scritta ad substantiam, nonché alle note esigenze concernenti la documentabilità di tutte le spese sostenute dall’ente pubblico) e dell’art. 69, comma 4, della L.R. n. 11/2001, vigente all’epoca dei fatti, il quale stabiliva che “A norma del comma 2 dell'articolo 8-quinquies del D.Lgs. n. 229/1999 la mancata sottoscrizione da parte dei soggetti interessati degli accordi contrattuali con le Aziende sanitarie locali in riferimento alle intese regionali stipulate con le organizzazioni rappresentative a livello regionale, determina la sospensione dell'esercizio di attività sanitaria con oneri a carico del servizio sanitario nazionale”; - il fatto che il ricorso sia stato notificato a […] si pone in contraddizione logica con l’assunto fondamentale attorno a cui ruota la controversia. In effetti, è vero che, in teoria, una struttura accreditata per una determinata branca potrebbe vedersi incrementato il budget a seguito della corrispondente riduzione del tetto di spesa disposta a danno di altre strutture accreditate per la stessa branca (le quali, in ipotesi, si siano dimostrate non efficienti e/o non abbiano consumato per intero il budget assegnato). Ma, a parte il fatto che il ricorrente non muove specifici rilievi nei riguardi di […], in realtà il […] assume che il budget a lui assegnato andrebbe determinato a seguito di un confronto con la Z.T. n. 4 che dovrebbe prendere in esame tutta una serie di variabili e che, dunque, dovrebbe prescindere sia dall’importo che nel FSR […] è stato stimato per la specifica branca e assegnato alla Z.T. n. 4, sia, conseguentemente, dal tetto di spesa assegnato alle altre strutture accreditate per la medesima branca. Ma allora il ricorso non avrebbe dovuto essere notificato ad alcun controinteressato. In caso contrario, si deve presumere che lo stesso ricorrente sia consapevole del fatto che l’A.S.U.R. e le singole Zone Territoriali si possono muovere all’interno degli stretti limiti della quota del FSR assegnata a ciascuna branca, per cui l’incremento del budget annuale è possibile solo se l’ammontare del FSR lo consente…”. Il laboratorio ricorrente eccepisce però che le modifiche di cui al D.Lgs. n. 229/1999 che hanno reso recessiva la fase della contrattazione trovavano applicazione a far tempo dall’anno 2000, il che sarebbe confermato dal fatto che il comma 10 dell’art. 35 della L.R. Marche n. 26/1996 è stato abrogato solo dall’art. 29 della L.R. 16 marzo 2000, n. 20, per cui il citato comma 10 era pienamente applicabile negli anni 1998 e 1999. Vengono inoltre dedotte censure afferenti le modalità di conduzione del procedimento. Ora, in disparte le considerazioni di ordine generale desumibili dalle sentenze richiamate al paragrafo precedente, si deve rilevare che: - la Giunta Regionale, con deliberazioni n. 3219/1996 e n. 126/1999, aveva stabilito il volume complessivo delle prestazioni afferente la branca delle analisi di laboratorio che le singole A.S.L. avrebbero dovuto acquistare dai privati accreditati nel 1998 e nel 1999. Come stabilito dalla Corte Costituzionale e dal Consiglio di Stato nelle summenzionate decisioni, le determinazioni regionali costituivano per le aziende sanitarie un limite inderogabile; - in realtà i laboratori accreditati con l’A.S.L. n. 1 hanno avuto accesso alla contrattazione con l’azienda sanitaria, tanto è vero che quattro di essi hanno sottoscritto l’accordo sia nel 1998 che nel 1999 (si vedano i preamboli delle impugnate deliberazioni del D.G. dell’A.S.L. n. 1). Il laboratorio ricorrente, come detto, si è rifiutato di sottoscrivere gli accordi, non concordando con il numero di prestazioni assegnatogli, ma dal punto di vista civilistico non si può negare che la contrattazione si sia svolta. D’altra parte, come il Tribunale ha avuto modo di evidenziare nelle citate sentenze del 2019, quid iuris nel caso in cui non si raggiunga l’accordo con uno o più degli operatori privati accreditati? Le aziende sanitarie sono obbligate ad erogare comunque le prestazioni agli utenti (o per mezzo delle proprie strutture o per mezzo di quelle private accreditate), per cui il mancato accordo con il privato non può implicare né lo stallo nell’erogazione del servizio né, per converso, un’autorizzazione tacita alla struttura privata ad erogare prestazioni senza alcun limite e con rimborso a piè di lista (questa seconda soluzione, infatti, renderebbe del tutta aleatoria la programmazione finanziaria sia a livello statale che a livello regionale e provocherebbe la sicura insorgenza di difficoltà a reperire le risorse per ripianare i deficit, come è accaduto nel passato in alcune Regioni); - come è noto, poi, i contratti della pubblica amministrazione debbono possedere ad substantiam il requisito della forma scritta, per cui, seppure si volesse ritenere che la sottoscrizione dell’accordo contrattuale non fosse prevista dalla normativa di settore vigente ratione temporis quale conditio sine qua non affinché una struttura privata potesse erogare prestazioni a carico del SSN, ciò era comunque necessario in base alle norme di contabilità pubblica. In sostanza, la struttura sanitaria privata accreditata, ferma restando la facoltà di censurare tempestivamente la determinazione del budget annualmente assegnatole dall’A.S.L. competente, deve attenersi al tetto di spesa e non erogare prestazioni oltre il budget per mettere l’A.S.L. davanti al fatto compiuto, invocando una sorta di supplenza svolta per colmare le carenze del settore pubblico. Infatti, la formazione di liste di attesa più o meno lunghe è un problema che deve essere affrontato e risolto dall’azienda sanitaria, la quale per eliminare le liste può anche incrementare il budget assegnato alle strutture private o, al contrario, potenziare i propri servizi, ma tali scelte non possono essere imposte dai privati accreditati. Questi ultimi, laddove abbiano erogato prestazioni ultra budget, ne possono richiedere il pagamento o applicando le regressioni tariffarie eventualmente previste dalla normativa regionale oppure ai sensi dell’art. 2041 c.c., ma sempre proponendo la domanda davanti al Giudice ordinario. Per quanto sopra il ricorso è stato respinto.

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