Studio legale Valentini
Associazione Professionale
- C.F. e P.IVA 02239730415
- Via San Francesco, 30 - 61121 Pesaro
- tel. 0721 69345 - fax 0721 69028
- info@avvocatoaldovalentini.it
26.9.2024 Corte di Appello di Milano Sez. Spec. Impresa – Sent. 2543/2024 – Pres. Bonaretti – Est. Ferrari
25/10/2024
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Il giudizio di primo grado A S.r.l. Unipersonale (di seguito anche soltanto A) conveniva in giudizio con citazione notificata in data (omissis)/2019 il sig. B (di seguito anche soltanto B), chiedendone la condanna al pagamento della somma di euro (omissis) a titolo di risarcimento del danno ex artt. 2043 e 2395 c.c. La società attrice, a fondamento della domanda, allegava in fatto che: - in data 31/08/2012 aveva stipulato un contratto di conto deposito (doc. 3 A) con C S.p.A. (di seguito anche soltanto C), dichiarata fallita in data (omissis)/2014 dal Tribunale di P, di cui il convenuto B era stato amministratore fino alla dichiarazione del fallimento. Con tale contratto C, depositaria, si impegnava allo stoccaggio, custodia, manipolazione e riconsegna dei prodotti “(omissis)” e “(omissis)” consegnati da A, materie da custodire nei silos di proprietà della società depositaria in località W; - il contratto era il quinto di una serie di contratti di medesimo oggetto stipulati tra le parti, in ragione di un rapporto commerciale iniziato svariati anni prima; - la materia prima depositata presso i silos veniva alternativamente lavorata e rivenduta da C alla stessa depositante A come biodiesel oppure acquistata dalla depositaria che, a quel punto, procedeva a lavorarla per poi vendere il prodotto finito a terzi; - in virtù dell’art. 4 del contratto di conto deposito C aveva garantito che nei serbatoi sarebbe stata conservata e resa disponibile per il ritiro la stessa quantità depositata come risultante dai documenti di presa in carico del prodotto; - in esecuzione dell’accordo, A aveva collocato i prodotti “(omissis)” e “(omissis)” nei serbatori del sito di (omissis) di proprietà della depositaria; il (omissis)/2013 l’Agenzia delle Dogane di M aveva revocato la licenza di esercizio per la produzione di prodotti energetici concessa a C; - al (omissis)/2013 A risultava documentalmente (in virtù cioè del registro di conto deposito) disporre - come depositate in W - di circa (omissis) tonnellate dei prodotti citati (precisamente (omissis) tonnellate di (omissis) - e (omissis) tonnellate di (omissis)); - in data (omissis)/2013 l’Ing. D, incaricato da A, si era presentato ai cancelli della società C per accertarsi dell’effettiva quantità di olii presenti nei silos; a seguito della verifica fisica delle giacenze calcolate con le attrezzature presenti in azienda, appurava la presenza nei serbatoi di (omissis) tonnellate di prodotto; tale quantità si sarebbe poi ridotta a (omissis) tonnellate di (omissis), come risultante dalla perizia giurata datata 28/02/2013. Si era così evidenziato un ammanco da tali serbatoi di (omissis) tonnellate di (omissis) e di (omissis) tonnellate di (omissis), per un valore di euro (omissis) quanto al (omissis) ed euro (omissis) quanto al (omissis); - C aveva, inoltre, inviato rapporti giornalieri e riepiloghi mensili non veritieri, inducendo così A a ritenere che il prodotto depositato fosse ancora nei silos della depositaria per le quantità concordate; - B, pur non lavorando stabilmente nel sito produttivo ma in (omissis), quale amministratore unico era in grado di conoscere l’effettiva quantità di prodotto stivato; - nello stesso periodo E S.p.A., altra società operante nel settore energetico, era rimasta vittima con modalità analoghe di un ammanco del prodotto depositato presso lo stabilimento di C per un importo di valore pari a euro (omissis); questa circostanza era stata denunciata alla Procura della Repubblica di P, che aveva proceduto a unificare le indagini nei confronti del B per il delitto di appropriazione indebita; - le circostanze accertate non erano coerenti con una mera disattenzione o negligenza della società amministrata da B; invero, la Guardia di Finanza, nell’ambito di verifica fiscale compiuta nei confronti di C, escludeva che l’amministratore B potesse non essere al corrente dell’attività illecita della società, anche perché per trasportare la quantità di prodotto oggetto dell’appropriazione sarebbero stati necessari non meno di 500 carichi; - nella relazione del curatore del fallimento C si dava atto di omissioni sistematiche di imposte sul reddito e sul valore aggiunto da parte di C fin dall’inizio dell’attività imprenditoriale per oltre (omissis) milioni di euro (anni 2004 – 2006). Sulla scorta di tali fatti - supportati dai documenti offerti in produzione - la società attrice A chiedeva la condanna di B, in quanto, quale amministratore di C, aveva impiegato consapevolmente materiale di A, cagionando a quest’ultima un danno diretto pari al valore della materia prima di cui C si era appropriata. Il convenuto B si costituiva tempestivamente in giudizio e contestava la pretesa dell’attrice, chiedendone il rigetto. In specie, eccepiva che l’azione di risarcimento del danno promossa da A era prescritta ex art. 2395 c.c., essendo trascorsi oltre cinque anni dal giorno in cui A era venuta a conoscenza della perdita del prodotto stoccato nei silos (gennaio/2013 con la visita dell’Ing. D, a fronte della notifica dell’atto di citazione del luglio 2019); quanto al merito, allegava che era da escludersi qualsivoglia condotta dolosa o colposa di esso B, semmai da attribuire al personale dipendente di C. Il Tribunale di Milano, Sezione specializzata in materia di impresa, così statuiva sulla domanda proposta da A contro B: “Il Tribunale in composizione collegiale definitivamente pronunciando, disattesa ed assorbita ogni altra domanda, eccezione e deduzione, così dispone: I- ACCERTA la responsabilità ex art 2395 c.c. di B per il danno arrecato nei confronti di A S.r.l. e per l’effetto II- CONDANNA B a pagare alla società A S.r.l. la somma di (omissis) euro, di cui (omissis) per interessi compensativi oltre agli interessi legali sulla sola somma capitale di euro (omissis) dalla data della decisione al saldo effettivo; III- CONDANNA il convenuto a rifondere le spese processuali a favore della società attrice, liquidate in euro (omissis) per compensi, oltre al rimborso delle spese non ripetibili per euro (omissis) alle spese generali, c.p.a e iva di legge”. L’iter motivazionale della sentenza impugnata può essere così sintetizzato: - l’azione andava qualificata a titolo di responsabilità extracontrattuale ex art. 2395 c.c. (azione individuale del terzo): il fatto illecito consisteva nell’appropriazione di beni di A compiuta dal B nella sua qualità di amministratore di C; - l'eccezione di prescrizione era da respingere in quanto la condotta contestata al convenuto B nel procedimento penale (che B aveva definito con applicazione della pena su richiesta delle parti) andava inquadrata nell'ambito del reato di appropriazione indebita e conseguentemente valutato in sei anni il periodo di prescrizione del diritto al risarcimento ai sensi degli artt. 2947, comma 3, c.c. e 157 cod. pen.; - in specie, il Tribunale respingeva l'eccezione di prescrizione, in quanto riteneva che il diritto azionato potesse essere fatto valere a far data dal gennaio/2013, giorno in cui il dipendente di A, ing. D, aveva accertato l'effettività dell'ammanco; - il Tribunale aveva ritenuto che non si fosse prescritta l'azione in quanto in data maggio/2013 si era verificato un primo atto interruttivo rappresentato dalla notifica dell'atto di citazione avanti al Tribunale di Z nei confronti di B da parte di A, avente ad oggetto in fatto le medesime condotte dannose poste a fondamento della presente azione; - inoltre, il Tribunale aveva ritenuto che avesse valenza interruttiva della prescrizione la notifica nel febbraio 2019 del ricorso cautelare ante causam instaurato presso il Tribunale di Milano, nonché, da ultimo, la notifica dell'atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado, in data luglio 2019, sicché il Tribunale aveva concluso che non erano mai decorsi sei anni tra ciascun atto interruttivo; - nel merito, il Tribunale aveva preliminarmente osservato che non era contestato l’ammanco del materiale di A e, in particolare, un impiego da parte della depositaria di (omissis) tonnellate senza pagamento del corrispettivo ad A. Il Tribunale rilevava anche che non era contestato che il valore di mercato della merce sottratta fosse di gran lunga superiore al valore della domanda di condanna che era stata contenuta in euro (omissis – somma di gran lunga minore n.d.r.); - il Tribunale riteneva che non si configurava un mero inadempimento contrattuale da parte di C per non aver pagato a A la quantità di prodotto di cui l'ammanco, in quanto: a) la quantità di prodotto mancante era tale da non potersi ritenere che l'amministratore non fosse a conoscenza dell'impiego del materiale per la produzione della società senza che venisse effettuato il relativo pagamento; b) le risultanze del verbale della Guardia di finanza di cui al procedimento penale davano conto di una condotta di appropriazione indebita; c) la ricostruzione offerta dal curatore del fallimento nella sua relazione dava conto di una “spiccata tendenza all'azzardo morale a danno dei creditori” con riguardo a B; d) non era contestata la circostanza secondo cui l'impiego del materiale di A era avvenuto senza il necessario consenso scritto di essa A, così come era pacifico che C non avesse riconosciuto di avere un debito verso la società A; e) erano irrilevanti, ai fini di escludere la responsabilità dell'amministratore B, eventuali comportamenti tenuti dal direttore dello stabilimento, in quanto quantità, valore, impiego diretto nel ciclo produttivo dei materiali non potevano valutarsi come fatti accidentali imputabili a dipendenti negligenti; f) la sentenza di patteggiamento per il reato di appropriazione indebita nei confronti di B costituiva un ulteriore elemento indiziario coerente con le emergenze probatorie descritte. Il giudizio di appello B interponeva appello avverso la sentenza del Tribunale di Milano, producendo copia dell’atto di citazione avanti al Tribunale di Z di A notificato il maggio/2013 e formulando due motivi di doglianza così rispettivamente rubricati: - Sulla violazione e/o errata applicazione dell’art. 2945 cod. civ.; - Sulla violazione e/o falsa applicazione degli articoli 115 e 116 c.p.c. L’appellante reiterava, ove necessarie, le richieste di prove (orali e di consulenza tecnico-contabile) formulate in primo grado. Si costituiva nel grado A, eccependo l’inammissibilità dell’appello ai sensi dell’art. 348 bis c.p.c. e, in ogni caso, chiedendo il suo rigetto e la conferma della sentenza impugnata. (omissis) MOTIVI DELLA DECISIONE L'appello non è fondato per le ragioni che si vanno ad esporre. Preliminarmente, si osserva che l’eccezione di inammissibilità ex art. 348 bis c.p.c., che l’appellata ha reiterato anche in sede di precisazione delle conclusioni, è da ritenersi superata sin dal momento in cui la Corte ha inteso dare corso ordinario al presente giudizio. Ancora in via preliminare, la Corte rileva che non è necessario riaprire la fase istruttoria, ben potendo la causa essere decisa sulla base dei documenti già acquisiti dal Tribunale. Con il primo motivo di appello, B ha inteso dolersi della ritenuta valenza, in prime cure, quale atto interruttivo della prescrizione dell’atto di citazione avanti al Tribunale di Z ad esso notificato il maggio/2013. In specie, con tale citazione A istaurava il giudizio di merito all’esito del sequestro conservativo ante causam autorizzato dal Tribunale di Z nei confronti di B. In primo luogo, l’appellante B evidenziava che l'atto di citazione in questione non era stato prodotto in primo grado da A: pertanto, non poteva essere oggetto di alcuna valutazione. In secondo luogo, l'appellante sosteneva che la causa promossa avanti al Tribunale di Z fosse radicalmente diversa rispetto alla causa promossa avanti alla Sezione specializzata in materia di impresa a Milano. Parte appellata A argomentava, da un lato, che la circostanza della notifica dell'atto di citazione in esame fin dall’maggio/2013 non era mai stata contestata da B anteriormente alla fase di appello; dall’altro lato, rimarcava che la citazione in questione, quanto al fatto storico, “elencava le stesse responsabilità del B” oggetto del giudizio avanti al Tribunale di Milano. La doglianza è priva di fondamento. Osserva il Collegio che con l'atto di citazione in appello l'appellante B ha depositato copia dell'atto di citazione del maggio/2013 avanti al Tribunale di Z. Orbene, l’odierna produzione ad opera dell’appellante B comprova l’insussistenza di qualsivoglia contestazione avente ad oggetto tale documento. Ed invero, si evidenzia che l’atto di citazione, datato maggio/2023, in calce reca la relata di notifica del maggio/2013 (cfr. pag. 18 atto di citazione Z); il fatto storico di cui alla domanda azionata inerisce il contratto di deposito dedotto nel presente giudizio, l’ammanco del materiale rilevato dall’ ing. D, la ritenuta rilevanza penale di tale ammanco, la domanda di risarcimento del danno quantificato in oltre (omissis) di euro (cfr. pag. 16 atto di citazione Z). Correttamente, pertanto, il Tribunale di Milano ha ritenuto la valenza di atto interruttivo nell'atto di citazione avanti al Tribunale di Pesaro e ha respinto l’eccezione di prescrizione spiegata da B. Con il secondo motivo di appello, l’appellante B censura l’impugnata sentenza nella parte in cui il primo giudice si è discostato dalla ricostruzione in fatto proposta da esso B: in tesi dell’appellante, doveva essere esclusa qualsivoglia sua responsabilità per dolo o colpa nell’ammanco del materiale di A. La relativa responsabilità, semmai, proseguiva B, andava attribuita a chi materialmente curava la tenuta del registro dei materiali. In particolare, secondo l’appellante, neppure dal contenuto dell’informativa della Guardia di finanza si poteva desumere una sua partecipazione attiva nel fatto illecito contestato. Con riferimento alla relazione del curatore fallimentare, osservava l'appellante che il maggior prelievo di materiale andava imputato ai dipendenti e in specie a chi curava il relativo registro, vale a dire la dott.ssa M, responsabile dell'ufficio addetto alla logistica. Infine, l'appellante evidenziava che l’applicazione della pena su richiesta delle parti si collegava alla mera natura deflattiva dell'istituto e non equivaleva a una sentenza di condanna. Aderendo a questo rito, esso B aveva inteso semplicemente definire in modo veloce una vicenda per lui dolorosa. Concludeva l’appellante censurando la sentenza impugnata per aver erroneamente attribuito valenza probatoria a quanto accertato nell’informativa della Guardia di finanza e nella relazione del curatore fallimentare, oltre che per aver attribuito valore probante del dolo e della colpa alla sentenza di patteggiamento emessa dal Tribunale di P. Anche il secondo motivo di appello non è suscettibile di accoglimento. Osserva la Corte che, in tema di società, l'azione individuale di responsabilità, ai sensi dell'art. 2395 c.c., esige che il comportamento doloso o colposo dell'amministratore, posto in essere tanto nell'esercizio dell'ufficio, quanto al di fuori delle correlate incombenze, abbia causato un danno diretto al patrimonio del terzo (Cass. Ordinanza n. 9206 del 20/05/2020). Orbene, nella fattispecie è circostanza incontestata fra le parti che A abbia subito un danno al proprio patrimonio; ugualmente pacifica è la quantificazione di tale danno. Si controverte, invece, se detto danno sia imputabile all’amministratore B per aver posto in essere una condotta dolosa o, quantomeno, colposa Sul punto, ritiene la Corte che ricorrano indizi plurimi, concordanti ed univoci, idonei a comprovare il comportamento, quantomeno, negligente dell’amministratore di C, B. In primo luogo, va considerato il dato, come anticipato non oggetto di contestazione fra le parti, costituito dall’ingente quantità di materiale che non risultava stoccato nel deposito alla data del gennaio/2013. Al riguardo, giova evidenziare come A si sia tempestivamente attivata inviando l’ing. D, suo incaricato, presso il sito della depositaria in (omissis) contestualmente alla revoca da parte dell’Agenzia delle Dogane di M della licenza -in favore di C- di esercizio per la produzione di prodotti energetici. Anche a voler ritenere, come sostiene l’appellante, che la sottrazione non fosse stata disposta dall’amministratore o, in ogni caso, fosse dovuta al comportamento negligente dei dipendenti di C, non può sottacersi la condotta gravemente omissiva di B per non aver vigilato sulla corrispondenza fra quanto risultava dal registro di conto deposito e la quantità reale di olii presenti nel silos. Né vale ad inficiare tale conclusione l’ulteriore circostanza dedotta dall’appellante secondo cui esso B svolgeva prevalentemente la propria attività in favore di C presso la sede di Milano anziché in (omissis). In secondo luogo, va ravvisata uguale negligenza dell’amministratore B per non aver adeguatamente verificato l’osservanza di quanto contrattualmente pattuito fra C e A. Invero, l’art. 2 del contratto 8/2012 -con il relativo modulo allegato recante “AUTORIZZAZIONE TRASFER STOCK”- prevedeva che: “la Depositaria comunicherà preventivamente tramite apposito modulo che si allega al presente contratto (Allegato1) debitamente firmato l’eventuale movimentazione del prodotto stoccato presso i serbatoi della Depositaria. Le parti concordano che non verrà considerato valido alcun documento fiscale di trasferimento della proprietà del prodotto stoccato presso il deposito di cui al punto 1 del presente contratto se effettuato in maniera difforme alla procedura prevista dal presente comma”. Orbene, non è stata versata in atti alcuna autorizzazione che potesse giustificare, anche solo in una certa misura, il mancato reperimento del prodotto stoccato. E ancora, l'articolo 4 del medesimo contratto stabiliva che: “La depositaria garantisce che sarà conservata nei serbatoi e resa disponibile per il ritiro la stessa quantità depositata risultante dai documenti di presa in carico del prodotto”; ebbene è pacifico che il materiale effettivamente conservato nei serbatoi fosse in quantità di gran lunga inferiore a quello risultante in via documentale. In definitiva, appare evidente come l'amministratore B non abbia vigilato sulla corretta osservanza di quanto pattuito fra le parti. In terzo luogo, osserva la Corte che la sentenza di patteggiamento - della quale l'art. 445, comma 1-bis, cod. proc. pen. sancisce l'inefficacia agli effetti civili - può certamente essere assunta come elemento di prova nel giudizio civile (cfr Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 2897 del 31/01/2024). Va rilevato al riguardo che la sentenza penale nei confronti di B è relativa al reato di appropriazione indebita, che, come noto, punisce la condotta a titolo di dolo. A sostegno, del resto, della piena consapevolezza di B dell’ammanco di materiale depone la considerazione che questi abbia inteso profittare dell’affidamento di A sulla corretta esecuzione del contratto stipulato il 31/08/2012 in ragione del duraturo pregresso rapporto commerciale inter partes (come sopra ricordato, rapporto istaurato da anni, tant’è che si era al quinto contratto di deposito). Il che corrobora ulteriormente quanto dianzi esposto in punto di imputabilità all'amministratore B della condotta che ha cagionato il danno a A. In conclusione, la Corte d’appello di Milano, per tutti i motivi di cui sopra, respinge l’appello e per l’effetto conferma la sentenza impugnata; condanna parte appellante alla rifusione a controparte delle spese del grado come di seguito determinate. Resta conseguentemente assorbita la domanda spiegata dall’appellante afferente la restituzione di quanto versato ad A in esecuzione della sentenza di primo grado. Le spese processuali, che seguono la soccombenza, sono liquidate in favore della parte appellata A come in dispositivo (omissis)