Studio legale Valentini
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19/11/2024 Consiglio di Stato -Sez. Sesta – Sent.9274/2024 Pres. SIMONETTI Rel. CAPONIGRO
04/12/2024
1. Il Comune di A, con la determinazione n. omissis del omissis settembre 2010, ha respinto la domanda di sanatoria presentata dalla B s.p.a. ai sensi dell'art. 32 della legge n. 326 del 2003 e della L.R. n. 23 del 2004. Le opere da condonare consistono in modifiche interne e prospettiche al fabbricato di civile abitazione sito in loc. omissis identificato a catasto al F.omissis. Con successiva ordinanza n. omissis del omissis novembre 2010, il Comune di A ha diffidato il rappresentante legale della B s.p.a., proprietaria e committente dei lavori, a provvedere, a propria cura e spese, entro il termine perentorio di novanta giorni dalla notifica dell'atto, alla rimozione delle opere abusive contestate. Il Tar per le Marche, Sezione Prima, con la sentenza n. 342 del 25 maggio 2020, previa riunione, ha respinto i ricorsi proposti dalla B s.p.a. avverso tali atti. Di talché, la Società soccombente ha interposto il presente appello, articolando i seguenti motivi: I) Violazione di legge in relazione agli artt. 1-3-88 D.lgs. 2.7.2010 n. 104. Violazione di legge in relazione all'art. 116 c.p.c. e all'art. 64 c.p.a. Violazione di legge in relazione all'art. 3 Cost. anche in relazione ai principi di uguaglianza e parità di trattamento. Violazione di legge in relazione all'art. 32 L. 326/2003, agli artt. 35 e 40 L. 47/1985, L.R. 23/2004, anche per falsa interpretazione ed applicazione dei presupposti concernenti la conclusione dei lavori, nonché l'individuazione della tipologia dell'abuso. Violazione di legge in relazione all'art. 3 L. 241/1990 in riferimento all'obbligo di motivazione e ai principi di correttezza e buon andamento ex art. 97 Cost. Eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione, in relazione alla mancata valutazione della sentenza penale, anche in relazione agli artt. 649-654 c.p.p. Illegittimità derivata. Violazione di legge in relazione agli artt. 117 c. I Cost. - art. 4 Prot. 7 CEDU ed art. 50 c.d. FUE. L'impugnativa concerne in modo specifico il capo della sentenza che ha ritenuto la sentenza penale favorevole all'appellante motivo non sufficiente a soddisfare l'onere della prova circa la tempestività dei lavori eseguiti ed oggetto di condono. Il TAR Marche non solo avrebbe valutato unilateralmente le problematiche emerse in sede penale, ma si sarebbe limitato a ritenere, peraltro in via del tutto infondata, irrilevante, ai fini della prova della conclusione dei lavori, l'esito del giudizio penale, senza di contro valutare la sostanziale emersione di una realtà di fatto e di diritto opposta o differente a quella descritta dal Comune di A. La sentenza è gravata anche nella parte in cui si sostiene non soddisfatto l'onere della prova in capo al privato. Gli argomenti svolti dalla Procura per affermare la falsità della istanza di condono sarebbero perfettamente sovrapponibili a quelli utilizzati dal Comune di A al fine di respingere l'istanza di condono edilizio, per cui non sarebbe possibile sostenere che detti argomenti, ritenuti inidonei dal giudicato penale a fondare la falsità penale dell'istanza di condono, siano al contrario e specularmente ritenuti idonei a fondare l'identica reputata falsità nel processo amministrativo, sull'unica scorta della semplicistica asserzione che in questo caso sia il privato a dover dimostrare la veridicità delle proprie enunciazioni. Se gli argomenti dell'Amministrazione e della Procura sono stati valutati come non fondanti la falsità, gli stessi non potrebbero invece essere valutati efficienti a tale identico scopo, sia pure in sede amministrativa e non penale. Il provvedimento gravato in primo grado e relativo al diniego di condono prenderebbe inammissibilmente le mosse da una ricostruzione parziale e, peraltro, all'epoca ancora al vaglio della magistratura competente compiuta dal perito incaricato dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Pesaro. Il mancato rispetto dei termini di conclusione dei lavori entro il omissis marzo 2003 (ex art. 32 L. 326/2003, e L.R. 23/2004), troverebbe esclusivo riferimento nella presenza di una recinzione ovvero un impianto di illuminazione, considerati quali elementi usualmente realizzati al termine dei lavori, ovvero dalla circostanza che alcuni lavori (rifacimento del tetto, degli intonaci e degli infissi) sarebbero stati ripetuti nel giro di alcuni mesi (febbraio 2003 e settembre 2004). Tale ricostruzione peraltro sarebbe desunta da alcune foto relative ad un intervento edilizio (opificio industriale) posto in adiacenza all'immobile di cui si discute. La parzialità dell'istruttoria, ripresa per relationem dagli uffici comunali, renderebbe illegittimo il diniego gravato, per difetto di congrua motivazione nonché necessaria istruttoria. La funzione della motivazione è finalizzata a consentire al cittadino la ricostruzione dell'iter logico-giuridico attraverso cui l'amministrazione si è determinata ad adottare un dato provvedimento, controllando quindi il corretto esercizio del potere ad essa conferito. Il Comune di A non avrebbe individuato, nello specifico, i presupposti del diniego, limitandosi a rinviare acriticamente alla perizia del consulente della Procura della Repubblica, dall'altro, il TAR Marche avrebbe ritenuto non soddisfatto l'onere di prova da parte del privato, senza tenere in debito conto i contenuti e le motivazioni proprie della sentenza di assoluzione, vertente sui medesimi fatti e presupposti. L'immobile, già dal 2000, sarebbe stato concesso in comodato ad un dipendente della società proprietaria che aveva eseguito in economia alcune modifiche interne e prospettiche avendo necessità di predisporre i locali de quo per le sue necessità familiari. Anche se non ritenuta quale ragione principale del diniego da parte del TAR, anche in questa sede andrebbe rilevato che l'eventuale classificazione errata attribuita all'abuso (tipologia 6) non conforme a quanto contestato, avrebbe dovuto comportare nel caso l'onere in capo al Comune di A, da un lato, di riconoscere l'errata qualificazione dell'abuso, dall'altro, di non rigettare la domanda, ma di ridefinire la pratica con l'applicazione dell'eventuale conguaglio dell'oblazione, se dovuto e se non prescritto. La società B non avrebbe omesso il pagamento, ma avrebbe solo errato nell'individuazione della classificazione dell'abuso. Il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti si è costituito in giudizio per resistere al ricorso; il Comune di A non si è costituito in giudizio. All'udienza pubblica del 24 ottobre 2024, la causa è stata trattenuta per la decisione. 2. L'appello è complessivamente infondato e va respinto, sia pure con una motivazione parzialmente diversa da quella sviluppata in prime cure. 3.L'ordinanza di ripristino dello stato dei luoghi n. omissis del omissis novembre 2010 (omissis) è stata adottata: -visto il verbale di contravvenzione per violazioni urbanistico-edilizie n. omissis del omissis agosto 2006 del Corpo di polizia municipale elevato per aver eseguito opere non autorizzate riguardanti il frazionamento in cinque unità abitative, con ripartizioni interne e modifiche prospettiche, di una ex casa colonica in strada omissis (in catasto omissis), già oggetto di domande di condono edilizio, ai sensi della 1. n. 326 del 2003, per semplici modifiche interne e prospettiche; -visto che, con il citato verbale, è stata contestata altresì la demolizione di un capanno in aderenza al fianco sinistro del fabbricato effettuata con la procedura dell'art. 5 del Regolamento edilizio senza che, tuttavia, venisse assolto all'obbligo, previsto dallo stesso Regolamento, di presentare sollecita domanda di autorizzazione; atteso che: -in relazione alla domanda di condono è stato adottato provvedimento n. omissis in data omissis settembre 2010 di diniego al conseguimento della sanatoria per le riconosciute ed accertate condizioni di infedeltà preordinate a trarre in errore l'Amministrazione comunale su elementi essenziali dell'abuso, quali la data di realizzazione e la qualificazione dell'abuso stesso concretizzatosi in un intervento più consistente e per tipologia più importante di quella dichiarata: -in relazione alle violazioni accertate con il verbale di contravvenzione è stato notificato alla ditta proprietaria e committenti i lavori, ai sensi della legge n. 241 del 1990, l'avvio del procedimento teso all'adozione del provvedimento di rimozione delle opere eseguite abusivamente; -in relazione alla demolizione dell'accessorio non risulta espletata, a tutt'oggi, la procedura prevista dall'art. 5-lett. c- del Regolamento edilizio circa la richiesta di regolarizzare l'intervento eseguito. Il provvedimento di diniego dei titoli abilitativi in sanatoria, adottato dal Comune di A con determinazione n. omissis del omissis settembre 2010, è stato adottato per la seguente ragione: "visto che dall'esame istruttorio della pratica è risultata verificata l'assenza dei presupposti giuridici dalla normativa di riferimento per mancanza del requisito temporale per beneficiare del condono come rilevabile dalle argomentazioni e documentazione fotografica in atti nella relazione del consulente tecnico incaricato dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Pesato in ordine al procedimento penale ... che consentono di affermare, con la dovuta certezza, che i lavori sono stati realizzati in epoca successiva al 31.03.2003, concretizzandosi, tra l'altro, un intervento più consistente e per tipologia più importante di quello dichiarato conseguendo, tra l'altro, anche un vantaggio economico per il mancato pagamento degli oneri e la misura dell'oblazione minima". 4. L'ordine di ripristino dello stato dei luoghi, quindi, deriva dal diniego di condono, per cui la controversia afferisce all’ esame delle doglianze proposte avverso la motivazione di quest'ultimo provvedimento. In proposito, il giudice di primo grado ha così affermato: " ... l'odierno Collegio non ritiene essere decisiva la circostanza che, in sede penale, sia stata pronunciata l'assoluzione per l'ipotesi di -OMISSIS- poiché, come si legge nella sentenza versata in atti, l'accusa non aveva pienamente assolto l'onere probatorio, a proprio carico, circa l'esistenza di tale reato. Al contrario, in sede amministrativa, nel procedimento di condono dell'abusivismo edilizio, tale onere risulta essere invertito, poiché non è il Comune a dover provare la data di esecuzione dei lavori, ma detto onere grava integralmente sull'interessato (cfr. TAR Marche, 13/1/2020 n. 31; id. 21/10/2019 n. 645 e giurisprudenza ivi richiamata). Nel caso in esame la prova non risulta invece essere stata fornita, neppure nell'odierna sede giudiziaria, a fronte degli indizi, richiamati dal Comune, che rendono non attendibile la data di ultimazione dichiarata nell'istanza (-OMISSIS-); data alla quale non è ancora dato comprendere quali opere interne e quali modifiche prospettiche siano state effettivamente eseguite, considerato che il risultato ultimo è stato l'ottenimento di un organismo edilizio diverso dal precedente (trasformazione dell'immobile da casa colonica unifamiliare a civile abitazione plurifamiliare). Al riguardo non può considerarsi decisiva la circostanza che, nell'anno 2000, l'edificio veniva dato in comodato a un dipendente della società per le proprie esigenze familiari poiché, anche ammesso (ma non risulta essere stato provato) che furono eseguite opere edili in economia, non è dato comprendere se, per effetto delle stesse, sia avvenuto il frazionamento e l'aumento delle unità abitative, quindi la vera e propria ristrutturazione edilizia. Peraltro non è dato comprendere quali erano le esigenze familiari, del dipendente, da soddisfare attraverso 5 appartamenti anziché uno. Risulta quindi plausibile, non essendo stata fornita la prova contraria ( da parte della ricorrente), che le opere oggetto di condono avessero riguardato, al più, interventi minori ( alcuni lavori interni e alcune modifiche prospettiche) conservativi dell'originaria configurazione edilizia ( casa colonica unifamiliare) e che le trasformazioni rilevanti ovvero la ristrutturazione ( da cui è scaturito il condominio plurifamiliare) siano state eseguite in epoca successiva, verosimilmente durante i lavori denunciati al Comune, nel settembre 2004, come semplici manutenzioni e in concomitanza con i lavori di cui al permesso di costruire rilasciato alla ricorrente, in data -OMISSIS-, per realizzare l'adiacente opificio industriale". 5. In parte, le doglianze proposte in appello colgono nel segno, laddove l'appellante sostiene che il Comune di A si sarebbe limitato a rinviare acriticamente alla perizia del consulente della Procura della Repubblica di Pesaro. Infatti, se il diniego fosse ancorato solo ed esclusivamente alle risultanze del consulente tecnico incaricato della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Pesaro, che ha accertato la realizzazione del manufatto in epoca successiva al 2003, l’appello risulterebbe fondato. Ciò non perché sia erroneo quanto evidenziato nella sentenza di primo grado, vale a dire che, in sede penale, l'onere di accertare la data di realizzazione dei lavori abusivi per sostenere la falsità dell'attestazione spetta all'accusa, mentre, in sede amministrativa, l'onere di provare la data di completamento dell'immobile spetta al privato, onere che, nel caso di specie, il privato non ha per nulla assolto. La fondatezza, tuttavia, sussisterebbe in quanto la motivazione del diniego di sanatoria, in parte qua, non è basata sul mancato assolvimento dell’onere della prova da parte della B, ma sulla relazione del consulente tecnico della Procura della Repubblica, la quale, però, non è stata condivisa dal Tribunale di Pesaro. Infatti, nella sentenza di detto Tribunale n. omissis del omissis marzo 2012, è dato leggere quanto segue: "In relazione all'epoca dei lavori, il tecnico incaricato dal P.M. rilevava che gli stessi non erano stati sicuramente ultimati entro il omissis febbraio 2003 periodo che consentiva di rientrare nel beneficio del condono), ma erano iniziati nell'aprile 2003 e ciò sulla base di alcune fotografie rinvenute nello studio di C, riprese dal limitrofo opificio della B spa la cui costruzione era iniziata nell'aprile 2003. Ebbene osserva il giudicante che la prova dei lavori abusivi descritti ai capi a) e b) dell'imputazione risulta evidente sulla base della documentazione acquisita e degli accertamenti esperiti. Del tutto incerta è invece la data di realizzazione degli stessi atteso che la documentazione fotografica a cui fa riferimento il consulente del P.M. attesta solo l'esistenza del cantiere edile in strada del Foglia nr. 48. L'esistenza di un cantiere per quanto elemento significativo non appare tuttavia sufficiente da solo ed in assenza di altri elementi specifici, documentali o testimoniali, per dimostrare che i lavori in contestazione fossero ancora in corso nell'aprile del 2003 ed escludere di conseguenza che gli stessi fossero stati effettivamente ultimati nella data indicata nel precedente mese di febbraio". Pertanto, sulla base della mera perizia del P.M., richiamata nella motivazione del diniego, non può sussistere alcuna certezza che i lavori non fossero stati ultimati entro la data del omissis marzo 2003, rimanendo tale dato controverso, sebbene da dimostrare da parte dell'appellante. In altri termini, in parte qua, il diniego di condono non è fondato sull'assenza della prova che l'interessato avrebbe dovuto fornire, ma sull'accertamento dei fatti contenuto nella relazione del consulente tecnico incaricato dalla Procura della Repubblica, accertamento però che il Tribunale di Pesaro non ha ritenuto satisfattivo. 6. L'appello, tuttavia, si rivela nel suo complesso infondato, in quanto il diniego è basato anche su un'altra dirimente circostanza, vale a dire che l'intervento è diverso e più "importante" di quello che ha costituito oggetto della domanda di condono. Infatti, la domanda di condono è stata presentata per frazionamento e ripartizione interna di una ex casa colonica (modifiche interne e prospettiche fabbricato di civile abitazione), mentre sono state in realtà formate cinque unità abitative autonome. Tale specifico profilo, di per sé idoneo a dare conto dell'assenza del vizio di legittimità nell'azione amministrativa, non è stato specificamente contestato, per cui può ritenersi incontroverso. Sul punto, occorre rilevare che le opere edilizie realizzate successivamente al manufatto abusivo seguono la stessa sorte dell'immobile oggetto del condono, con conseguente applicazione dell'art. 31 TU Edilizia (cfr., ex multis, Cons. Stato, VI, 13 settembre 2024, n. n. 7568), ovvero, come nel caso di specie, dell'art. 33 TUE. La presentazione di un'istanza di sanatoria o di condono non legittima l'interessato a porre in essere ulteriori opere in relazione a quelle oggetto della richiesta, sicché le nuove opere ripetono la stessa qualifica di abusività delle opere per le quali è stata presentata l'istanza di sanatoria (o di condono), nelle more della conclusione del relativo procedimento. La presentazione della domanda di sanatoria (così come, a maggior ragione, 'quella di condono), quindi, non autorizza l'interessato a trasformare o ampliare i manufatti oggetto della richiesta i quali, fino al momento dell'eventuale concessione del provvedimento favorevole, restano comunque abusivi al pari degli ulteriori interventi realizzati sugli stessi ( cfr., ex multis, Cons. Stato, VI, n. 2645 del 24 aprile 2022). Secondo giurisprudenza consolidata (cfr. Cons. Stato, sez. VI, n. 2171/2022), in altri termini, "in presenza di manufatti abusivi non sanati né condonati, gli interventi ulteriori (pur se riconducibili, nella loro oggettività, alle categorie della manutenzione straordinaria, della ristrutturazione o della costruzione di opere costituenti pertinenze urbanistiche), ripetono le caratteristiche d'illiceità dell'opera abusiva cui ineriscono strutturalmente, giacché la presentazione della domanda di condono non autorizza l'interessato a completare ad libitum e men che mai a trasformare o ampliare i manufatti oggetto di siffatta richiesta, stante la permanenza dell'illecito fino alla sanatoria". Le censure proposte, quindi, non sono idonee a scalfire quanto statuito sul punto dal giudice di primo grado in altra parte della sentenza impugnata, secondo cui: "Occorre innanzitutto porre in evidenza che la casa colonica è stata oggetto di un vero e proprio intervento di ristrutturazione comportante un organismo edilizio diverso dal precedente (condominio con 5 appartamenti anziché edificio agricolo unifamiliare) e con sensibile incremento del carico urbanistico (anche per effetto del cambio di destinazione d'uso, a residenza, di alcuni vani originariamente destinati a servizi e locali accessori). Ciò si desume dai vari atti e accertamenti eseguiti nel tempo, a partire dal verbale di contravvenzione del -OMISSIS-che riferisce di lavori di frazionamento e di ripartizione interna per ricavare 5 unità abitative autonome (verbale non oggetto di contestazione sotto tale profilo essenzialmente fattuale). Non era quindi necessario che il Comune recasse una particolare ed approfondita motivazione sul perché ha ritenuto che la domanda di condono riguardasse lavori (modifiche prospettiche ed interne) di minore entità rispetto a quelli effettivamente eseguiti". 7.Le ragioni essenziali del diniego di condono, quindi, non riguardano la mera riconducibilità dell'abuso, descritto nell'istanza, ad una tipologia anziché ad un'altra, ma anche, e ciò è dirimente per la definizione della controversia, al fatto che l'intervento realizzato è stato più consistente di quello dichiarato. 8.Per tutto quanto esposto, le doglianze contenute nel ricorso in appello, sia pure parzialmente fondate, non riescono complessivamente a dare conto della fondatezza del ricorso di primo grado, per cui l'appello va respinto. 9.Le spese del giudizio possono essere compensate in ragione della costituzione con atto di mero stile del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, mentre il Comune di A non si è costituito in giudizio. (omissis)