Impugnazione di nullità del lodo – vizio di totale assenza di motivazione – rilevanza – fattispecie – infondatezza del motivo – violazione del contradditorio e del principio di non contestazione – fattispecie – insussistenza

9.12.2024 – Corte di Appello di Ancona sent.1727/2024 Pres. Marcelli est. Marziali

12/12/2024

1. Antefatto e contenuto del lodo impugnato la società V srl, quale socio di M srl chiedeva, ai sensi dell'_art. 41 dello statuto della società partecipata la nomina di Collegio arbitrale, al fine di promuovere azione di responsabilità nei confronti dell'ex amministratore delegato P con condanna dello stesso al risarcimento di danni patrimoniali alla società. Innanzi al collegio arbitrale si costituiva il convenuto P contestando le avverse deduzioni e pretese, riservandosi ogni domanda ed eccezione nel merito e chiedendo in via preliminare che fosse disposta la sospensione del giudizio all'esito della decisione del Tribunale di Ancona nell'ambito del procedimento rubricato al n. 4564/2014 RG; che fosse dichiarata l'inapplicabilità al procedimento nei confronti del P della clausola compromissoria contenuta nell'art. 41 dello Statuto. Con lodo parziale del 5 luglio 2017 il Collegio, ritenuta la necessità di integrare il contraddittorio nei confronti della società M srl che non era stata evocata in giudizio, disponeva la integrazione del contraddittorio nei confronti della società, che peraltro rimaneva contumace. Veniva poi emesso lodo definitivo con il quale, in sintesi, il collegio arbitrale decideva come segue: 1)              in tema di responsabilità degli amministratori, l'art. 2476 e.e. prevede una responsabilità di natura colposa ponendo quale criterio di valutazione e di imputazione della responsabilità medesima, la diligenza del comportamento dell'amministratore, mentre ad esso non possono essere addebitate a titolo di responsabilità le scelte attinenti alla discrezionalità imprenditoriale, applicandosi in tal caso il principio di insindacabilità delle scelte di gestione, che però sono insindacabili solo se legittimamente compiute e non irrazionali, criteri riferite rispettivamente alle modalità e alle ragioni per le quali la scelta è stata compiuta. 2)              È solo l'omissione, da parte dell'amministratore, di quelle cautele, di quelle verifiche  ovvero dell'assunzione delle necessarie informazioni preliminari al compimento dell'atto gestorio, normalmente richieste, che può configurare violazione dell'obbligazione di fonte legale in discorso, così come è fonte di responsabilità la colpevole mancata adozione di quei provvedimenti, che per legge o per atti interni avrebbero dovuto essere prontamente assunti a tutela della società (Cass. 3409/2013; Cass. 1783/2015). 3)              Ai fini della risarcibilità del preteso danno, il soggetto agente, oltre ad allegare l'inadempimento dell'amministratore nei termini indicati, deve anche allegare e provare, sia pure ricorrendo a presunzioni, l'esistenza di un danno concreto, cioè del depauperamento del patrimonio sociale di cui chiede il ristoro nell'interesse della società, e la riconducibilità della lesione al fatto dell'amministratore inadempiente, quand'anche cessato dall'incarico; incombe viceversa sugli amministratori nel caso di inosservanza degli obblighi loro imposti dalla legge o dal contratto, l'onere di dimostrare l'inesistenza del danno ovvero la non imputabilità del fatto dannoso, fornendo la prova positiva, con riferimento agli addebiti contestati ( cfr. Cass. 22911/2010). 4)              Era infondata l'eccezione sollevata dal convenuto P circa l'inapplicabilità della clausola arbitrale per essere cessato dalla carica in data antecedente l'introduzione del giudizio, poiché, fra l'altro, il patto processuale di devoluzione in arbitrato di ima categoria di controversie deve ritenersi autonomo rispetto al contratto cui inerisce, onde può resistere non solo all'invalidazione del contratto che eventualmente sopraggiunga, ma anche all'eventuale cessazione fra le parti degli ( altri) effetti di tale rapporto. L'art. 41 dello statuto della M srl espressamente include, tra le materie compromesse, le azioni nei confronti degli amministratori, imponendo la vincolatività con l'accettazione dell'incarico. Né si poteva dubitare che la controversia rientrasse nella possibilità di arbitrato, invocandosi in tal senso anche Cass. 26300/17, che ha confermato l' orientamento che vede l'azione di responsabilità ex art. 2476 e.e. passibile di compromesso. 5)              La premessa dell'azione è un abuso della posizione di amministratore concretatosi in una modifica della strategia aziendale - peraltro necessitata dalla crisi della vendita di moduli fotovoltaici - che avrebbe determinato una indiscriminata politica di realizzazione di impianti, con elevati costi ricorrendo al credito in maniera spregiudicata. L'attrice colloca l'inizio delle difficoltà nel 2012 e conferma che nel corso del 2013 vi fossero trattative per le vendite di campi fotovoltaici ed attribuisce al P un "comportamento evanescente" che indusse il socio V srl a richiedere nel 2013 una verifica analitica della situazione, culminata con l’analisi contabile del giugno 2013 che sanciva una crisi finanziaria preoccupante. Il CdA chiese invano al P di affiancare il nuovo amministratore delegato ma non vi fu collaborazione. Nello specifico le doglianze sono: a) Aver operato in assenza di delega acquisendo progetti per impianti mai realizzati costati oltre € omissis; b) costituito con soggetti prestanome una società che avrebbe dovuto acquistare alcuni campi; c) Fatto assumere a V srl il fallimento della C srl; d) Conferito innumerevoli mandati per la vendita degli impianti; e) Negoziato con W srl linee di credito accompagnate da sottoscrizioni di swap; f) Promesso rendimenti dei campi superiori alle realtà. Tutte queste contestazioni, probabilmente esposte per delineare una completezza del quadro, non sono state però oggetto di specifica richiesta di verifica ad opera del Collegio chiamato a pronunciarsi solo sulle domande relative ai danni cagionati nel rapporto con S srl nell'anno 2011 e i danni causati dalla rimozione dell'archivio informatico dell'amministratore. 6)              Il primo profilo di responsabilità dell'amministratore viene a sua volta suddiviso in due contestazioni riguardanti: I) l'accordo di sviluppo omissis.2011 II) il contratto preliminare di cessione quote J srl omissis.2011. Ma a tal proposito il collegio osserva che, in assenza di elementi contrari, il fatto stesso che i pagamenti siano avvenuti nei confronti della società cedente neutralizzano ogni portata indiziaria della previsione contrattuale che non ha avuto esecuzione nei confronti del dr. B. Dunque, ancorché l'amministratore avesse sottoscritto un contratto con una possibilità di pagamento in favore di un soggetto la cui legittimazione non è palesata, certo è che poi ha agito correttamente, ossia pagando la società che in base al contratto appariva titolare del rapporto. Pertanto, alcuna censura sulla condotta effettivamente tenuta e nessun danno alla V srl ne discende. Neppure poteva rilevare il mancato coinvolgimento degli organi statutari per un investimento importante, sia perché l'amministratore aveva ampi ed illimitati poteri senza dover coinvolgere alcun imprecisato "organo statutario", sia perché il fatto stesso che vi siano stati detti versamenti che hanno necessariamente trovato esposizione nel bilancio 2011 approvato all'unanimità, non lascia spazio a dubbi sulla conoscenza dell'operazione da parte dei soci e sulla sostanziale accettazione dell'operato dell'amministratore. 7)              Sempre per il primo profilo di danno, che evidenziava anche come, a fronte del pagamento di € omissis, V srl non avrebbe ottenuto né progetti né restituzioni di alcun genere, la lettura testuale del contratto non prevede alcuna consegna di alcun progetto a fronte di detto pagamento, né restituzioni di alcun genere. Inoltre non v'era alcuna traccia del fatto che vi fossero state richieste da parte della società, una volta cessato dalla carica il P e anzi, con la X spa v’erano stati rapporti commerciali molto importanti tanto che vi furono forniture di circa € omissis. Tali rapporti erano sicuramente noti alla società ed ai soci, non foss’altro perché era stato autorizzato il compimento di atti pubblici e costituzionali di ipoteche in favore di V srl. 8)              L’attrice lamenta, poi, un versamento di ulteriori € omissis in data omissis.2011 qual acconto per “lavori impianto Y”, ma a tal proposito la doglianza manca dei dettagli necessari, volti a spiegare come il pagamento in questione fosse nell'ambito dell'accordo di sviluppo omissis.2011. 9)              Ulteriore lamentela, quanto al "Contratto preliminare di cessione di quote J omissis.2011", riguarda l'articolato della pattuizione, che apparirebbe incerto e senza pratiche giustificazioni. Premesso che il contratto è soltanto un contratto preliminare di acquisto quote, non dunque il rogito di trasferimento, secondo l'art. 29 dello Statuto societario un atto, anche preliminare, di acquisto o vendita di partecipazioni obbliga la società e, come tale, è soggetto ad autorizzazione (anche postuma mediante ratifica) da parte dell'assemblea. E sebbene il P affermasse che l'operazione era nota e finanche condivisa dai soci, il passaggio fonnale assembleare appare un presupposto fondamentale, in difetto del quale non v'era neppure il potere dell'amministratore di impegnare la società su tale fronte acquisitivo. Poiché dunque non vi è stata pacificamente alcuna assemblea ed alcun deliberato sul punto, il P non avrebbe potuto firmare il contratto: incombeva dunque su questi l'onere di dimostrare che tale operazione non avesse comunque portato alcun danno alla società, prova che non è stata fornita. Tuttavia, si poneva un serio problema di identificazione del danno poiché l'attrice lo riconduce al bonifico del omissis.2011 di € omissis ma la causale della disposizione risulta essere: " acconto inizio lavori n. 3 imp. Fotovol". E in nessuna parte del contratto preliminare di cessione quote si fa riferimento ad un importo di € omissis he anzi risulta escluso dalle diverse rate pattuite. Né vi è alcuna prova o quietanza in atto del versamento di € omissis come rimborso spese, né, tanto meno, del versamento della caparra con un escrow account o titolo a garanzia. Pertanto, a fronte di una condotta inadeguata dell'amministratore, l'attrice non ha indicato quale sia stato il danno subito dalla società e tale non può essere il bonifico di € omissis, versato per altre causali estranee a detto contratto e collegato impropriamente ad esso. 10)          Il secondo profilo attiene ai danni causati dalla rimozione dell'archivio informatico dell'amministratore, il quale avrebbe rimosso l'archivio di posta elettronica dai computer che aveva in dotazione. In effetti, i messaggi di posta elettronica a contenuto e rilevanza giuridica e commerciale devono essere conservati per dieci anni. Si tratta infatti di documenti informatici, che in quanto corrispondenza, devono essere conservati ordinatamente per ciascun affare secondo le prescrizioni dettate dall'articolo 2214 e 2215 bis e.e. avendo inoltre rilevanza a fini fiscali. 11)          Le prove orali sul punto (interrogatorio P e teste F) danno conto che sia il computer aziendale che quello portatile in uso al Nicoletti (da questi restituito alla società) non contenessero alcuna mail né alcun tipo di file, dunque erano stati sostanzialmente formattati di quei contenuti. Lo stesso P afferma di aver rimosso l'archivio di posta elettronica, anche se precisa di aver lasciato tutto ciò che era relativo alla società e quello che era inerente agli atti societari risultava già archiviato in maniera cartacea, mentre il resto di ciò che aveva cancellato "era ininfluente". Ad avviso del Collegio la condotta dell'ex amministratore è sul punto censurabile perché la valutazione circa la rilevanza dei contenuti non può essere di sua discrezionalità specie allorché sia cessato dalla carica e vi sia comunque la possibilità di una controversia (ancorché latente) con la società. Ben avrebbe dovuto e potuto effettuare la rimozione delle mail personali in contraddittorio con il nuovo amministratore. Certo è anche il fatto che la ricorrente non ha minimamente spiegato se ha provato a recuperare il contenuto informatico che, probabilmente, con determinati accorgimenti tecnici avrebbe potuto essere reso nuovamente fruibile, né ha fornito alcuna indicazione (neppure indiretta) di quale sia stato il danno arrecato, né infine di alcuni criteri per la sua quantificazione. In definitiva la condotta appare contraria agli obblighi di legge ed ai doveri di diligenza, correttezza e buona fede nell'esecuzione del rapporto e l'accertamento del danno può essere ritenuto in re ipsa non fosse altro per le complicazioni di reperimento della corrispondenza cagionate alla società. Il danno viene dunque riconosciuto e liquidato in via equitativa nell'importo di € omissis in esso già comprese rivalutazione ed interessi. 2. L'impugnazione principale e quella incidentale Il P ha proposto impugnazione con i seguenti motivi. 1.     Nullità della pronuncia impugnata in quanto affetta da vizi riconducibili alle ipotesi di cui ai nn.5 e 11 dell'art.829, I cpc. 2.     Nullità del predetto Lodo arbitrale ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 829, comma 1, n. 11 c.p.c., nonché, unitamente o alternativamente, ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 829, comma 1, n. 5 c.p.c., nella parte in cui pone le spese e l'onorario del procedimento arbitrale a carico solidale delle parti costituite e nella parte in cui compensa le spese di lite tra le parti. Si è costituita V srl controdeducendo e chiedendo il rigetto delle avverse domande, ed ha anche proposto appello incidentale con i seguenti motivi. 3.     Nullità del lodo in relazione all'art.829, I n.9 e 11 cpc nella parte in cui ha riconosciuto la violazione degli obblighi dell'ex amministratore di M srl P omettendo la relativa condanna. 4.     Il primo motivo di impugnazione principale Deduce il P il difetto e la contraddittorietà di motivazione di motivazione in merito alla sua condanna. Peraltro, quanto sul punto obietta V appare da condividere, corrispondendo ad un orientamento ormai consolidato e che appare pertinente al caso concreto. Cass. Sez. 1, n. 3768/2006 afferma che la contraddittorietà tra le diverse parti della motivazione, non espressamente prevista tra i vizi che comportano la nullità del lodo, può assumere rilevanza soltanto in quanto determini l'impossibilità assoluta di ricostruire l'"iter" logico e giuridico sottostante alla decisione per totale assenza di una motivazione riconducibile al suo modello funzionale. Per Sez. 1, n. 6986/2007 il difetto di motivazione, quale vizio riconducibile all'art. 829 n. 5 cod.proc.civ., in relazione all'art. 823 n. 3 stesso codice, è ravvisabile soltanto nell'ipotesi in cui la motivazione del lodo manchi del tutto ovvero sia a tal punto carente da non consentire l'individuazione della "ratio" della decisione adottata o, in altre parole, da denotare un "iter" argomentativo assolutamente inaccettabile sul piano dialettico, sì da risolversi in una non­motivazione. È evidente che le peculiarità del lodo impongono dei limiti più stringenti nella denuncia dei vizi della motivazione rispetto ad altri moduli decisionali. Ora, se si pongono al vaglio di tale necessità eventuali aporie dell'iter motivazionale del lodo, come sopra ampiamente sintetizzato, ne discende che esse non provocano il superamento della soglia di rilevanza idonea a determinare la nullità del lodo. Giova ripercorrere integralmente il passaggio della motivazione, peraltro abbastanza breve, che viene in rilevo: "Ad avviso del Collegio la condotta dell'ex amministratore è sul punto censurabile perché la valutazione circa la rilevanza dei contenuti non può essere di sua discrezionalità specie allorché sia cessato dalla carica e vi sia comunque la possibilità di una controversia (ancorché latente) con la società. Ben avrebbe dovuto e potuto effettuare la rimozione delle mail personali in contraddittorio con il nuovo amministratore. Certo è anche il fatto che la ricorrente non ha minimamente spiegato se ha provato a recuperare il contenuto informatico che, probabilmente, con determinati accorgimenti tecnici avrebbe potuto essere reso nuovamente fruibile, né ha fornito alcuna indicazione (neppure indiretta) di quale sia stato il danno arrecato, né infine di alcuni criteri per la sua quantificazione. In definitiva la condotta appare contraria agli obblighi di legge ed ai doveri di diligenza, correttezza e buona fede nell'esecuzione del rapporto e l'accertamento del danno può essere ritenuto in re ipsa non fosse altro per le complicazioni di reperimento della corrispondenza cagionate alla società." È innegabile che, dei quattro periodi che compongono il predetto passaggio, il terzo entra, in qualche modo, in tensione logica con gli altri tre, e soprattutto con le conclusioni contenute nel quarto. Nondimeno, il collegio arbitrale appare giustificato, nella prospettiva che si è indicata, e che circoscrive l'ambito di censurabilità della decisione - meglio, la rilevanza giuridica di tale censurabilità, pur sempre astrattamente sussistente secondo moduli decisionali propri della sindacabilità della sentenza, in generale - ove, pur dando atto della carenza di prova fornita da parte di Molfin srl, osserva che " ... l'accertamento del danno può essere ritenuto in re ipsa non fosse altro per le complicazioni di reperimento della corrispondenza cagionate alla società". Queste difficoltà che vengono solo accennate, nell'ultimo inciso trascritto, sono invero da ricollegare ad altro passaggio motivazionale, precedente, in cui correttamente si espongono gli obblighi di conservazione della corrispondenza in capo al cessato amministratore. Altra criticità riguarda l'apodittica motivazione sul quantum del danno: "Il danno viene dunque riconosciuto e liquidato in via equitativa nell'importo di € omissis, in esso già comprese dunque rivalutazione ed interessi." Giurisprudenza non recente afferma, in tema generale di motivazione delle sentenze, non dei lodi, che nell'operare la valutazione equitativa, il giudice non è tenuto a fornire una dimostrazione minuziosa e particolareggiata della corrispondenza tra ciascuno degli elementi esaminati e l'ammontare del danno liquidato, essendo sufficiente che il suo accertamento sia scaturito da un esame della situazione processuale globalmente considerata (Cass. Sez. 3, n. 19148/2005). Ed ancora, sul punto, è stato affermato. Sez. 3,n. 22895/2005 Il potere di liquidare in via equitativa il danno, a norma dell'art. 1226 cod. civ., che consiste nella possibilità del giudice di ricorrere, anche d'ufficio, a criteri equitativi per supplire all'impossibilità della prova del danno risarcibile nel suo preciso ammontare. Per pervenire alla valutazione con il criterio equitativo ex art. 1226 cod. civ., è sufficiente che il giudice dia l'indicazione di congrue, anche se sommarie, ragioni del processo logico in base al quale lo ha adottato. La giurisprudenza più recente non si discosta dalle massime richiamate, sottolineando semmai la necessità: 1.     Della sussistenza del danno nell'an, la cui dimostrazione soggiace pur sempre all'onere della prova e la cui disamina va nettamente distinta dalla quantificazione 2.     Di difficoltà estrema o addirittura un'impossibilità di quantificare nel dettaglio il danno 3.     Di un richiamo, anche sintetico, alle circostanze che giustificano una determinata quantificazione A questo punto, se le criticità motivazionali di carattere generale farebbero dubitare che l'esposizione come sopra testualmente riportata, contenuta nel lodo impugnato, sia sufficiente secondo i canoni generali, non si può però dire che sussista una motivazione del tutto assente o (il che appare equivalente) irrimediabilmente contraddittoria, ove è facile, invece, intendere il significato secondo cui " ... l'accertamento del danno può essere ritenuto in re ipsa non fosse altro per le complicazioni di reperimento della corrispondenza cagionate alla società" e altrettanto semplice (in disparte l'opportunità mera di rendere una motivazione più esplicita) comprendere il collegato passaggio logico secondo cui tale danno" ... viene dunque riconosciuto e liquidato in via equitativa ... ecc.". In conclusione, non si individua nel lodo impugnato una "totale assenza di una motivazione riconducibile al suo modello funzionale". Né tantomeno l'equivalente, non previsto specificamente dalla norma, costituito dalla contraddittorietà interna della motivazione, dato da una vera e propria inconciliabilità tra le varie parti di essa, di consistenza tale da rendere impossibile la ricostruzione della "ratio" (Cass. 11895/14; v. anche, da ultimo Cass., 19 luglio 2021, n.20558). 5.     Il secondo motivo di impugnazione principale Palesemente infondato è il motivo di impugnazione che lamenta la compensazione delle spese e la declaratoria dell'obbligo in solido delle parti per il pagamento delle spese arbitrali. Una volta accertata la reciproca soccombenza, infatti, non è necessario che vi sia uno specifico impegno motivazionale per la compensazione, anche se si registra una diseguaglianza, in termini economici, tra le varie statuizioni oggetto di tale reciproca soccombenza. Per mera completezza, ove si accedesse all'interpretazione, non certo implausibile, secondo cui si tratterebbe di un'unica domanda risarcitoria che si articola in diverse voci, semmai astrattamente sarebbe la controparte ad avere titolo per qualche censura, dal momento che il riconoscimento di un quantum inferiore, anche in maniera consistente, rispetto al petitum, non comporta automaticamente la compensazione delle spese, secondo l'orientamento prevalente di recente ribadito dalle ss.uu. In realtà, l'interpretazione più corretta appare quella intermedia che in tempi relativamente recenti si è affermata, e che ha avuto il consenso proprio di ss.uu. n. 32061.2022, cioè che nella fattispecie ci si trova di fronte ad un'unica domanda, ma articolata in più capi, che viene equiparata alla pluralità di domande ai fini del riconoscimento della soccombenza reciproca. Né, da ultimo, può trascurarsi il fatto che parte della domanda sia stata rigettata per insufficienza della prova del danno, e non perché il comportamento dell'ex amministratore sia stato giudicato corretto, essendo anzi stato affermato da parte del collegio arbitrale l'esatto contrario. 6.     L'impugnazione incidentale V srl si duole del rigetto delle varie voci ( o capi) della domanda complessiva di risarcimento da parte del collegio arbitrale. Ripropone, in particolare, le questioni relative alla responsabilità dell'ex amministratore derivanti dalla (sola) sottoscrizione il omissis.2011 di un preliminare di cessione di quote della soc.J srl per il quale il P versava € omissis pur in assenza di ogni autorizzazione statutariamente prvista. Osserva che: “…Il collegio ha correttamente accertato la violazione da parte del P degli obblighi di diligenza sullo stesso gravanti, ma – con evidente contraddittorietà ed illogicità della motivazione – ha omesso di condannare lo stesso al risarcimento del danno ritenendo non provato il danno, invero documentato, di € omissis .......... [ ... ] ........  la statuizione assunta viola il contraddittorio, trattandosi di evidente vizio di ultrapetizione, laddove il Collegio si è affannato, in assenza di prova liberatoria fornita dal soggetto inadempiente, ad integrarne inammissibilmente le difese. 29. Va rilevato peraltro come gli assunti su cui si basa la statuizione impugnata confliggano con i documenti in atti. 30. Vero è infatti che con contratto omissis.2011 S spa (doc.6 proc. arbitrale - 2 j)), nella persona del C che mai carica formale ha rivestito in tale società - dichiarando di disporre "direttamente o indirettamente" delle quote della società J srl corrente in omissis LE), asserita titolare di tre progetti per impianti fotovoltaici in comuni della provincia di (omissis) prometteva di cedere il 100% delle quote della ridetta società al prezzo di € omissis cui M versava complessivi € omissis (doc.7 proc. arbitrale- 2 g)) in data omissis.2011, senza che si addivenisse mai alla stipula del definitivo . .......... [ ... ] ........ . 33. Non ha rilevanza alcuna che il pagamento effettuato non coincida con quanto pattuito nel preliminare, posto che la contabile del bonifico ( doc. 7 proc. arbitrale) di € omissis effettuato il omissis.2011 ben evidenzia il riferimento agli impianti da realizzarsi in € omissis “omissis”  e “omissis” che sono chiaramente l'oggetto del contratto preliminare di cessione di quote, di cui veniva versato il 10% . .. ... .... [ ... ] ......... il Collegio, ultra petita e con palese travisamento delle risultanze istruttorie, ha negato il legittimo. ristoro del danno in misura pari alla somma di € omissis relativamente alla sottoscrizione del contratto preliminare di cessione di quote sottoscritto dal P n assenza di qualsivoglia potere il omissis.2011. 37. Soccorre peraltro il principio di non contestazione di cui ali' art.115 cpc a fondare ulteriormente la domanda posto che la mancata presa di posizione specifica sui fatti costitutivi del diritto preteso, comporta, di per sé, una linea di difesa incompatibile con la negazione o modifica della pretesa, rilevante ai fini della determinazione dell'oggetto del giudizio . 38. A tal fine, in subordine, ben avrebbe potuto il Collegio Arbitrale liquidare il danno in via equitativa, laddove avesse correttamente esaminato le risultanze probatorie, posto che, se correttamente si è affermata la natura complessa dei negozi connessi all’acquisto di autorizzazioni e/o impianti per energie rinnovabili, mai si sarebbe potuto affermare come il versamento di € omissis avrebbe ad oggetto “causali estranee a detto contratto e collegato impropriamente ad esso “,se proprio la causale del bonifico identifica specificamente i tre campi - mai realizzati (altra circostanza non smentita dal P) - oggetto del preliminare di cessione di quote di una società che per tabulas le parti definivano "società veicolo". Le motivazioni del Collegio arbitrale, così censurate, sono riassunte nel § 1, al punto 9). Esse si incentrano sulla mancanza di prova che il bonifico di euro omissis possa essere ricondotto al preliminare, di cui si riconosce peraltro, da parte del collegio arbitrale, l'illiceità della condotta del P astrattamente idonea in tal modo, a provocare il danno lamentato da V srl E, in particolare, le censure sono: 1)    L'essere il bonifico, al contrario di quanto reputa il lodo emesso, collegato proprio al contratto preliminare rispetto al quale è stata riconosciuta l'idoneità a provocare il danno lamentato da V srl 2)    La violazione del contraddittorio sotto il profilo della valorizzazione di elementi mai evidenziati dal P 3)    E, per converso, con violazione dell'art. 115 cpc, l'avere il lodo indebitamente omesso di tenere conto del comportamento del P che non ha contestato i dati fattuali posti da V srl fondamento della sua domanda. Peraltro, il n. 1) appena evidenziato si risolve in un'inammissibile proposizione di censure aventi per oggetto il merito della controversia e, in particolare, la valutazione dei fatti e l'apprezzamento delle prove (cfr.App. Genova, 9 novembre 202, n. 1130). In ogni caso, la motivazione reggerebbe anche nel merito, poiché il riferimento del bonifico dei omissis euro è effettivamente troppo debole con il solo collegamento alla localizzazione degli impianti, la non è sufficiente per contrastarne l'incompatibilità-affermata dal Collegio arbitrale - con i pagamenti previsti nello stesso preliminare, rispetto ai quali alcuna tranche è riferibile all'importo di omissis €. Le censure di cui sopra, punti 2) e 3) sono speculari, perché attengono ad un comportamento del P nell'ambito del procedimento arbitrale, che non renderebbe possibile l'interpretazione data dal logo impugnato. Ovviamente, tale parte dell’impugnazione incidentale può essere esaminata ed è ammssibile nella misura in cui attiene a vuolazione delle regole processuali, che, infatti, vengono dalla V srl individuate sub specie di a) violazione del contraddittorio e b) violazione del principio di non contestazione. Le due questioni in esame attingono ambedue ad un comportamento della parte convenuta nel giudizio arbitrale, la quale viene assunta come sostanzialmente inerte e acquiescente rispetto alla deduzione di uno specifico fatto, vale a dire, nel caso concreto, il collegamento tra il bonifico di  omissis € di cui alla distinta prodotta in atti, con il contratto preliminare che il collegio arbitrale ha già riconosciuto essere astrattamente fonte di danno in quanto violazione, da parte dell'ex amministratore, dei suoi doveri. In particolare, la violazione del contraddittorio Per quanto concerne la valenza dell'essere stata data, da parte del collegio arbitrale, un'interpretazione di tale bonifico non proposta affatto dal P quale violazione del contraddittorio, va osservato quanto segue. Cass. civ., Sez. I, ord. 7-06-2021, n. 15785 afferma che in tema di giudizio arbitrale, la questione della violazione del contraddittorio deve essere esaminata non sotto il profilo formale, ma nell'ambito di una ricerca volta all'accertamento di una effettiva lesione della possibilità di dedurre e contraddire, onde verificare se l'atto abbia egualmente raggiunto lo scopo di instaurare un regolare contraddittorio e se, comunque, l'inosservanza non abbia causato pregiudizio alla parte; ne consegue che la nullità del lodo e del procedimento devono essere dichiarate solo ove nell'impugnazione, alla denuncia del vizio idoneo a determinarle, segua l'indicazione dello specifico pregiudizio che esso abbia arrecato al diritto di difesa. P srl , a tal proposito, spiega nel suo motivo d'impugnazione incidentale che " .. .In assenza di qualsivoglia contestazione specifica circa l'imputazione dei pagamenti - si ripete, la difesa del P si è limitata ad eccepire che tutte le operazioni fossero state oggetto di autorizzazione da parte degli organi della società e null'altro - la statuizione assunta viola il contraddittorio, trattandosi di evidente vizio di ultrapetizione, laddove il Collegio si è affannato, in assenza di prova liberatoria fornita dal soggetto inadempiente, ad integrarne inammissibilmente le difese". Nel pur breve inciso appena trascritto, senza essere specificato il pregiudizio arrecato al diritto di difesa, vengono in realtà evocati, e sovrapposti in maniera del tutto generica, istituti del tutto differenti, processuali e di diritto sostanziale: A)      La questione dell'imputazione dei pagamenti, rispetto alla quale non è dato sapere se il riferimento sia alle regole, di diritto sostanziale, dell'art. 1193 e.e. o ad altre regole più specificamente processuali in tema di prova. Apparirebbe semmai pertinente il riferimento alla tematica delle prove, ma è evidente che, una volta acquisita agli atti una fonte di prova, quale un documento, vale semmai il principio di acquisizione e, al più, si potrà parlare di valutazione corretta o meno, da parte del decidente, delle regole che attengono al materiale probatorio già acquisito B)      La questione dell' "ultrapetizione" : essa introduce, più pertinentemente, l'impossibilità che una questione sia decisa dal giudice (in questo caso, dall'arbitro) secondo il c.d. metodo della terza via. Com'è noto, si tratta di principio affermato dalla Cassazione già a partire dai primi anni 2000, poi normativizzato con la novella del 2009. A prescindere dalla considerazione che difetta assolutamente l'indicazione dello specifico pregiudizio arrecato al diritto di difesa da queste violazioni, per i motivi sopra indicati, l'unica questione come idonea ad essere esaminata sarebbe quella sub B). A ben vedere, si dà, da parte del decidente (il collegio arbitrale), una diversa interpretazione di un fatto, veicolato da una prova documentale, che ha trovato ingresso nel procedimento arbitrale e che era sotto l'attenzione delle parti, nella misura in cui era una prova di indebito pagamento, sulla quale la V srl aveva basato la sua richiesta di risarcimento. Attenta dottrina, occupatasi ex professo del problema, ha distinto, fra l'altro: -L'ipotesi di atti legittimamente acquisiti al giudizio e utilizzati dalle parti per fondare le proprie conclusioni di accoglimento o di rigetto della domanda, in cui il fatto è stato colorato giuridicamente dalla parte, che lo ha posto a fondamento dei propri mezzi di attacco o di difesa, richiamando così l'attenzione ( e il contraddittorio) della controparte e del giudice. -L'ipotesi del c.d. ''fatto avventizio" o fatto inerte. Con essa si vuole considerare fatti risultanti dagli atti, ma silenti, in quanto non invocati dalle parti e, pertanto, destinati a rimanere inerti nel processo, a meno che il giudice ( o la parte "scaltra" all'ultimo momento) noti tali fatti e li consideri rilevanti per la decisione. Mentre nella prima ipotesi appare intuitivo che il fatto sia sotto l'attenzione delle parti, non dovendosi provocare alcun contraddittorio, laddove qualsiasi interpretazione che solo potenzialmente poteva essere fatta dalle parti, e non lo è stata, non per questo è preclusa al Giudice, nella seconda ipotesi la valorizzazione giuridica di un fatto storico rimasto inerte nel processo è un'attività innovativa e per essere ammissibile non deve pregiudicare il diritto di difesa di controparte. Calando queste regole nella fattispecie concreta all'esame di questa Corte, la nozione di "fatto inerte", il quale non può essere "valorizzato" se non provocando il contraddittorio, comunque voglia individuarsi il suo ambito concreto di operatività, non può certamente essere corrispondente alla prova documentale del bonifico dei omissis €e, quindi, al pagamento degli stessi in favore del formale destinatario. È proprio tale fatto storico che viene individuato come la prova principale di un indebito trasferimento di denaro ascrivibile all'attività dell'ex amministratore e fonte di responsabilità di danni di cui lo stesso amministratore deve rispondere. Di tale prova documentale, come sopra visto, il collegio arbitrale dà una diversa interpretazione rispetto a quella data dall'attrice V srl con risultati sfavorevoli proprio per le tesi attoree. Ma ogni interpretazione del significato di tale bonifico era a disposizione delle parti sino dal momento del suo ingresso nel procedimento arbitrale, né vale ad indicare tale bonifico come "fatto nuovo" la circostanza che esso sia stato interpretato dal decidente come non idoneo alla dimostrazione che la parte producente intendeva dargli, ovvero che tale dimostrazione non sia stata contestata dalla controparte. In particolare, il principio di non contestazione È ben vero che la contestazione operata, sul punto, dal P è del tutto generica, visto che a pag 2 della memoria di costituzione del P nel giudizio arbitrale viene effettuata una contestazione generale di "tutte le deduzioni e tutte le pretese di V. Tale posizione non viene modificata dalla difesa del P nel suo successivo comportamento nel giudizio arbitrale, come danno conto i verbali e gli scritti difensivi. Occorre però domandarsi, anche qui, se il principio invocato sia pertinente alla fattispecie ed in effetti esso non lo è, secondo un condivisibile orientamento: Sez. 3, n. 6172 del 5/3/2020 (conf. Ord. n. 21403 del 6/7/2022) l principio di non contestazione di cui all'art. 115 c.p.c. ha per oggetto fatti storici sottesi a domande ed eccezioni e non può riguardare le conclusioni ricostruttive desumibili dalla valutazione di documenti. (Nella specie, la S. C. ha rigettato il motivo fondato sull'assunta violazione del principio con riferimento a conclusioni ermeneutiche da trarre, in ordine all'interpretazione di documenti contrattuali di scissione societaria, in parte da atti stragiudiziali quali il precetto, in parte dall'insinuazione al passivo in un altro procedimento e solo in parte dalla comparsa di costituzione e risposta di primo grado). In conclusione, è da rigettarsi sia l'impugnazione principale sia quella incidentale. Le spese vanno compensate, essendo uguali reciproca la soccombenza ed essendovi uguali ragioni già esaminate sub § 5. omissis – P.Q.M. La Corte così dispone 1)       Rigetta sia l'impugnazione principale che quella incidentale. 2)       Compensa integralmente le spese fra le parti. 3)       Dichiara la sussistenza dei presupposti per il raddoppio del contributo unificato sia per l'impugnazione principale che per quella incidentale .   -omissis –

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