Istanza sanatoria ex art. 32 c. 27 lett. d) D.L. 269/2003 – diniego vincoli assoluti e relativi – sopraelevazione – cambio destinazione d’uso – realizzazione piscina – ordinanza demolizione – sospensione per accertamento di conformità ex art. 36 DPR 380/2001.

20.7.2024 – TAR Marche – Sent. 688/2024 – Est. De Mattia - Pres. Ianigro

02/09/2024

FATTO I ricorrenti presentavano al Comune di X istanza di sanatoria di alcune opere abusive realizzate sulla loro proprietà, ai sensi dell’art. 32 del DL n. 269/2003 e della legge regionale n. 23/2004. Tale domanda veniva negata in quanto gli interventi consistevano: a - nella soprelevazione di un manufatto pertinenziale ad uso accessorio; b - nella realizzazione di un servizio igienico interno al piano terra e di un solaio con aumento di piano; c - in modifiche prospettiche al porticato esterno; d - in una recinzione esterna confinante con la strada comunale e in una piscina sullo scoperto di pertinenza. Nelle more veniva altresì presentata una domanda di accertamento di conformità ai sensi dell’art. 36 del DPR n. 380/2001, riguardante un vano seminterrato da adibire a garage a servizio dell’attività di bed and breakfast. Seguiva l’ordinanza di demolizione. Il TAR ha osservato: … “- in base all’indirizzo giurisprudenziale prevalente, da cui il Collegio non ravvisa ragioni per discostarsi, la presentazione di una istanza di sanatoria non comporta l’inefficacia del provvedimento sanzionatorio pregresso, ma la mera sospensione. Pertanto, respinta la sanatoria - anche per silentium ex art. 36, comma 3, del D.P.R. n. 380/2001 - la demolizione, temporaneamente inefficace in pendenza del procedimento di sanatoria, riprende vigore (cfr., Cons. Stato, sez. VI, 28 aprile 2023, n. 4287; 28 febbraio 2023, n. 2026; 8 aprile 2022, n. 2596); - rispetto al vano seminterrato risulta che i ricorrenti abbiano presentato domanda di accertamento di conformità ai sensi dell’art. 36 del DPR n. 380/2001, sicché, in applicazione del suesposto principio, l’ordine di demolizione è temporaneamente inefficace in parte qua e la corrispondente sanzione demolitoria riprenderà eventualmente vigore all’esito della definizione (ove negativa) del procedimento di sanatoria, che allo stato risulta pendente; - per la restante parte, le censure contenute nel primo motivo del ricorso RG n. 774/2015, appunto rivolte avverso l’ordinanza n. 297/2015, sono infondate, dal momento che, per principio giurisprudenziale pacifico (dal quale non si ha motivo di discostarsi), l’istituto partecipativo di cui all'art. 10-bis della legge n. 241/1990 va interpretato non in senso formalistico, ma avendo riguardo all’effettivo e oggettivo pregiudizio che la sua inosservanza abbia causato alle ragioni del soggetto privato nello specifico rapporto con l’Amministrazione (ex multis, Cons. Stato, sez. II, 8 giugno 2023, n. 5642; TAR Campania, Napoli, sez. V, 16 maggio 2023, n. 2957 e sez. VI, 5 ottobre 2023, n. 5412). Nel caso di specie, è agevolmente desumibile dagli atti che il diniego di sanatoria, di circa due mesi successivo al preavviso di rigetto, non è stato preceduto da alcun apporto partecipativo del privato, che non ha mai presentato le proprie osservazioni nei termini concessi e neppure successivamente; è evidente, dunque, che i presupposti su cui detto diniego si basa sono i medesimi su cui si era basato il preavviso ex art. 10-bis e che, in mancanza di osservazioni, siffatto contenuto sarebbe rimasto invariato, così come sarebbe rimasto invariato anche il contenuto dell’ordinanza di demolizione, con l’unica differenza che i termini per adempiere a quest’ultima sarebbero iniziati a decorrere dalla sua adozione posticipata ovvero a valle del diniego di sanatoria. Il ricorso, pertanto, è inammissibile nella parte in cui ha ad oggetto l’impugnazione del preavviso di rigetto della domanda di sanatoria e in parte improcedibile e in parte infondato per quanto attiene all’impugnazione dell’ordinanza di demolizione. Il ricorso è invece infondato. Il diniego non si fonda sull’unica ragione della ritenuta tardività della domanda, ma altresì sul presupposto dell’insanabilità delle opere realizzate stante la non conformità delle stesse alla disciplina edilizia e urbanistica. Trattasi, anche in questo caso, di un atto plurimotivato, sicché il profilo della tardività dell’istanza, oltre ad essere stato superato per stessa ammissione dell’Ente, è irrilevante, poggiando il rigetto su altri autonomi motivi. Passando alle ragioni di merito del diniego, si osserva che, ai sensi dell’art. 32, comma 27, lett. d), del D.L. n. 269/2003, “le opere abusive non sono comunque suscettibili di sanatoria, qualora: […] “d) siano state realizzate su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere, dei beni ambientali e paesistici, nonché dei parchi e delle aree protette nazionali, regionali e provinciali qualora istituiti prima della esecuzione di dette opere, in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici”. In conformità a tale disposizione, con sentenza della Corte Costituzionale n. 290/2009 è stata dichiarata la parziale illegittimità costituzionale della L.R. Marche n. 11/2008. Quanto alla natura del vincolo, la giurisprudenza ha escluso che debba trattarsi solo dei vincoli che comportino l’inedificabilità assoluta. In proposito è stato precisato che il legislatore, con la previsione generale di cui al citato art. 32, comma 27, lett. d), “ha disciplinato, ai fini del condono edilizio, l'ipotesi di tutte le costruzioni effettuate in siti vincolati e come tali riflettenti la disciplina vincolistica della zona su cui insistono. La distinzione tra vincoli assoluti e relativi non rileva al fine della condonabilità delle opere, stante il chiaro disposto legislativo che non ha fatto cenno alla stessa; la norma, infatti, richiama (in modo indifferenziato) opere che siano state realizzate su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali” (cfr., TAR Campania, Napoli, sez. VIII, 19 maggio 2015, n. 2819, richiamata da TAR Campania, Napoli, sez. VIII, 5 gennaio 2024, n. 125). Ai sensi del suddetto art. 32, comma 27, lettera d), quindi, sono sanabili le opere abusive realizzate in aree sottoposte a specifici vincoli, siano essi di natura relativa o assoluta, purché ricorrano "congiuntamente" le seguenti condizioni: a) che si tratti di opere realizzate prima dell'imposizione del vincolo; b) che, pur realizzate in assenza o in difformità del titolo edilizio, siano conformi alle prescrizioni urbanistiche; c) che siano opere di minore rilevanza, corrispondenti alle tipologie di illecito di cui ai nn. 4, 5 e 6 dell'allegato 1 del D.L. n. 269 del 2003 (restauro, risanamento conservativo e manutenzione straordinaria); d) che vi sia il previo parere favorevole dell'autorità preposta al vincolo. In assenza delle suddette condizioni, l’incondonabilità non è superabile nemmeno con il parere positivo dell’autorità preposta alla tutela del vincolo (ex plurimis, Consiglio di Stato, sez. VI, 17 gennaio 2020, n. 425; TAR Campania, Napoli, Sez. VIII, 12 ottobre 2020, n. 4388). Ebbene, nella fattispecie oggetto di odierno esame non è in contestazione la circostanza che l’abuso edilizio realizzato da parte ricorrente ricada in area sottoposta al vincolo paesaggistico istituito con DPGR n. 668/1981. Inoltre, parte ricorrente non ha provato che l’intervento risalga ad epoca antecedente all’apposizione del vincolo (anzi, dalle relazioni in atti sembra ricavarsi che le opere sono di recente realizzazione) né che l’opera abusiva rientri tra le ipotesi di abuso c.d. "minore", ovvero quelle di cui ai nn. 4, 5 e 6 dell'allegato 2 al DL n. 269 del 2003 (restauro, risanamento conservativo e manutenzione straordinaria). Difettando quindi più d’uno dei presupposti individuati dalla giurisprudenza sopra richiamata, gli interventi non sono suscettibili di rientrare tra le tipologie di abusi sanabili anche in zona sottoposta a vincoli; ne deriva che il diniego della sanatoria edilizia era atto dovuto, ai sensi dell’art. 32, comma 27, lettera d), del DL n. 269/2003 (convertito in legge n. 326/2003). Fermo restando quanto sopra, entrando nello specifico delle doglianze di parte ricorrente, esse non possono essere condivise. L’art. 3, comma 1, della legge regionale n. 13/1990 stabilisce che “nelle zone agricole sono ammesse soltanto le nuove costruzioni che risultino necessarie per l’esercizio delle attività di cui al comma 2 del precedente articolo 1…” ovvero quelle “dirette alla coltivazione dei fondi, alla silvicoltura, all’allevamento del bestiame e alle altre attività produttive connesse, ivi compreso l’agriturismo”. Sempre l’art. 3, comma 1, della citata legge elenca le tipologie di opere ammesse in zona agricola e, al comma 2, precisa che “nessun’altra costruzione nuova può insediarsi nelle zone agricole fatta eccezione per quelle [espressamente] consentite dalla legislazione vigente”. Ebbene, non è applicabile, rispetto all’abuso della sopraelevazione dell’accessorio agricolo, l’art. 8 della legge regionale n. 13/1990 invocato dai ricorrenti sull’assunto che il manufatto sia da considerare una nuova costruzione, e ciò sotto un duplice profilo: difetta il presupposto perché la norma possa operare, in quanto l’intervento non rientra tra le costruzioni di cui all’art. 3, lettera c), comma 1; inoltre esso non può qualificarsi come nuova costruzione, dal momento che l’abuso in contestazione consiste, semmai, in un intervento ulteriore realizzato su quella che i ricorrenti definiscono come nuova costruzione (ovvero il manufatto autorizzato con il titolo edilizio in sanatoria rilasciato nel 1997). Con riferimento al cambio di destinazione d’uso, è sufficiente rilevare come il mutamento di destinazione d’uso di un immobile che determini, dal punto di vista urbanistico, il passaggio tra diverse categorie in rapporto di reciproca autonomia funzionale (come nel caso di specie) comporta inevitabilmente un differente carico ed un maggiore impatto urbanistico, da valutare in relazione ai servizi e agli standard ivi esistenti. Tale cambio di destinazione d’uso tra categorie edilizie funzionalmente autonome e non omogenee comporta la necessità di un previo permesso di costruire, senza che rilevi l’avvenuta esecuzione di opere strutturali, essendo a tal fine sufficiente la sussistenza di elementi univoci idonei ad imprimere chiaramente ed inequivocabilmente la diversa destinazione, rilevando l’uso che dell’immobile viene fatto in concreto, anche laddove tale uso sia evincibile dalla mera apposizione di mobilio che risulti inequivocabilmente incompatibile con l’originaria destinazione e chiaramente funzionale ad una diversa destinazione (TAR Campania, Salerno, sez. III, 17 ottobre 2023, n. 2328). Quanto alla piscina, se non è di modeste dimensioni, la giurisprudenza ne esclude la sua natura pertinenziale (TAR Campania, Napoli, sez. VII, 29 febbraio 2024, n. 1360; TAR Lombardia, Brescia, sez. II, 11 gennaio 2024, n. 11; Cons. Stato, sez. VII, 2 gennaio 2024, n. 44; TAR Sicilia, Palermo, sez. I, 2 maggio 2022, n. 1471), poiché essa comporta una trasformazione durevole del territorio e ha una funzione autonoma rispetto a quella propria dell’edificio cui accede, e ritiene che la stessa integri gli estremi della nuova costruzione, in quanto dà luogo ad una struttura edilizia che impatta sul sito di relativa ubicazione e postula, pertanto, il previo rilascio dell’idoneo titolo ad aedificandum, costituito dal permesso di costruire. L’opera in questione determina la creazione di volume, ovvero l’aumento di quelli già realizzati; questo perché la nozione di volume utile (come anche di superficie utile) deve essere interpretata (alla luce della circolare del Ministero per i beni e le attività culturali n. 33 del 26 giugno 2009, nonché della prevalente giurisprudenza amministrativa) nel senso di qualsiasi opera edilizia calpestabile e/o che può essere sfruttata per qualunque uso. Peraltro, il divieto di incremento dei volumi esistenti, imposto ai fini di tutela del paesaggio, si riferisce a qualsiasi nuova opera comportante creazione di volume, senza che sia possibile distinguere tra volume tecnico e altro tipo di volume, sia esso interrato o meno (ex multis, TAR Campania, Salerno, sez. I, 2 ottobre 2023, n. 2174; TAR Sardegna, Cagliari, sez. II, 3 agosto 2022, n. 561). Rivestono, infatti, un’indubbia rilevanza paesaggistica tutte le opere realizzate sull’area sottoposta a vincolo, anche se non vi sia un volume da computare sotto il profilo edilizio (pur se si tratti di volumi tecnici) ed anche se si tratti di una piscina, poiché le esigenze di tutela dell’area sottoposta a vincolo paesaggistico possono esigere l’immodificabilità dello stato dei luoghi (TAR Campania, Napoli, sez. VII, 16 giugno 2022, n. 4077). …”

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