Studio legale Valentini
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21.11.2023 – Tribunale penale di Pesaro – Sent. 872 Est. Versini
10/09/2024
G.M., D.F., C.M., P.L., C.G. sono imputati: a) Del reato p. e p. dagli artt. 110 c.p. e 44 comma 1 lett. a) del D.P.R. 380/2001, perché, in concorso tra loro, G.M. in qualità di progettista e direttore dei lavori, D. F. in qualità proprietario dell'immobile censito catastalmente al foglio 4, mappali 40 e 41 N. del Comune di X, committente dei lavori e titolare del Permesso di Costruire (omissis), C.M. e P.L. in qualità di comproprietari dell'immobile censito catastalmente (omissis) del Comune di X, committenti dei lavori e titolari del Permesso di Costruire (omissis), C.G. in qualità di comproprietario dell'immobile censito catastalmente (omissis) del Comune di X, nell'ambito dei lavori di ristrutturazione mediante demolizione e ricostruzione di due case a schiera site in X ricadenti all'interno del Piano di Recupero di iniziativa privata n. (omissis), realizzavano strutture verticali costituite da setti e pilastri in cemento armato, in difformità dai progetti approvati con i citati permessi di costruire e non conformi al Piano Particolareggiato vigente che, per le strutture verticali prevede, espressamente l'uso di laterizio o mattone o blocco sismico. Nel Comune di X accertato il 07/02/2020, lavori in corso d'opera. b) Del reato p. e p. dagli artt. 110 c.p. e 181, comma 1 del D.L.vo 42/2004, perché, in concorso tra loro, nelle qualità indicate al precedente capo dell'imputazione, effettuavano i lavori di cui al capo a), in area sottoposta a vincolo paesaggistico ai sensi dell'art. 142, comma 1, lett. f) del D.L.vo 42/2004, per effetto del D.M. 13.01.1954, in difformità dalle autorizzazioni paesistiche n. (omissis) dal Comune di X, in X, accertato il 07/02/2020, lavori in corso d'opera. Con decreto emesso in data 18.10.2022, D.F., C.M., P.L., C.G. e G.M., i primi tre quali comproprietari e committenti dei lavori, il quarto quale comproprietario ed il quinto quale progettista e direttore dei lavori, sono stati citati in giudizio per rispondere, in concorso tra loro, delle condotte illecite puntualmente descritte in epigrafe. Dalla documentazione in atti e dalla deposizione resa dai testi escussi, risulta che la vicenda ha tratto origine dal sopralluogo effettuato dall'agente di Polizia Locale G.D. e dall'Arch. L.G., funzionario del Servizio di Edilizia Privata del Comune di X, in data 7.02.2020 in località (omissis), presso gli immobili ubicati ai civici (omissis) e distinti al catasto (omissis), allo scopo di verificare la conformità dei lavori di ristrutturazione mediante demolizione e ricostruzione di due case a schiera ai permessi di costruire n. (omissis) e n. (omissis), rispettivamente rilasciati, il primo ai comproprietari e committenti C.M. e P.L., ed il secondo al proprietario e committente D.F. In detto sopralluogo veniva constatata la realizzazione di strutture verticali costituite da setti e pilastri in cemento armato, in difformità dai permessi di costruire rilasciati e non conformi al Piano Particolareggiato vigente. I testi hanno infatti spiegato che in base alle norme tecniche di attuazione del Piano del Parco del Monte P, l'area ricade in zona DA -centro storico di V - individuata all'interno del Piano di Recupero di iniziativa privata n. (omissis), sottoposta a vincolo paesaggistico ai sensi degli artt. 136 e 142, comma 1, lett. f) del D.L.vo 42/2004, per effetto del D.M. 13.01.1954. Proprio in virtù di detto vincolo, essendo l'area ubicata all'interno del Parco del Monte P, il Piano Particolareggiato vigente prevede espressamente per le strutture verticali l'uso di laterizio o mattone o blocco sismico, mentre i setti ed i pilastri presenti al momento del sopralluogo risultavano invece essere in cemento armato e, conseguentemente, non conformi agli strumenti urbanistici vigenti (cfr. relazioni di sopralluogo e rilievi fotografici). Veniva altresì accertato che sia nella relazione del progetto approvato che nelle norme tecniche del Piano di Recupero, redatte dal progettista e direttore dei lavori Arch. G.M., era espressamente previsto che "lastruttura di nuova formazione, in allineamento a quella esistente, saràrealizzata da uno scheletro portante in mattoni/laterizio sismico o solai inlegno" (cfr. relazione tecnica illustrativa in atti a firma dell'imputato G.). Poiché i lavori al momento del sopralluogo risultavano in corso d'opera, in data 10.03.2020 con ordinanza n. (omissis) veniva disposta l'immediata sospensione dei lavori e il successivo (omissis)2020 veniva elevato verbale di contravvenzione per violazioni urbanistico-edilizie nei confronti di G.M. in qualità di progettista e direttore dei lavori, di D.F., C.M. e P.L. in qualità di proprietari e committenti dei lavori, e di C.G. in qualità di proprietario dell'immobile. A maggio dell'anno 2022 l'ordinanza di sospensione dei lavori era stata revocata a seguito delle domande di ripristinare lo stato legittimo dei luoghi presentate al protocollo n. (omissis) da C.M. e P.L. e al protocollo n. (omissis) da D.F., per il tramite del nuovo direttore dei lavori nominato geom. T.F. I testi hanno infine dichiarato che in occasione del sopralluogo effettuato in data 6.09.2023 avevano constatato l'avvenuto ripristino dello stato dei luoghi, con la demolizione delle opere strutturali verticali in cemento armato non consentite nell'ambito territoriale del Parco del Monte P e realizzate in difformità da quanto previsto dai permessi di costruire rilasciati. Le dichiarazioni rese dai testimoni risultano confermate dalla documentazione acquisita agli atti del processo e sopra descritta. Infatti, dalla documentazione in atti e dalle dichiarazioni dei testi emerge in maniera indiscutibile l'esecuzione di lavori in area sottoposta a vincolo paesaggistico in difformità sia dal titolo previamente e legittimamente rilasciato (D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. a), sia dalle autorizzazioni paesistiche (omissis) rilasciate in data (omissis)2018 dal Comune di X (art. 181 D.lvo 42/04). L'imputato G.M., sottopostosi ad esame, dopo avere pacificamente ammesso la propria qualità di progettista, incaricato da D.F., C.M. e P.L. di redigere il piano particolareggiato in relazione a lavori di demolizione e ricostruzione di due case a schiera, nonché di direttore dei lavori, ha sostenuto che in base alle Normative Tecniche di Attuazione da lui stesso redatte non avrebbero dovuto esserci elementi in cemento armato a vista, nel senso che la struttura avrebbe dovuto semplicemente essere rivestita in laterizio soltanto una volta ultimata, in modo che il cemento armato non fosse visibile. A suo dire, in altre parole, l'agente di Polizia Locale G.D. e l'Arch. G.L., funzionario del Servizio di Edilizia Privata del Comune di X, erano incorsi in un errore, nel senso che, poiché al momento del sopralluogo le opere erano in corso di realizzazione, avevano ritenuto, sbagliando, che i cordoli ed i pilastri in cemento, sarebbero rimasti visibili. Ha poi sostenuto che realizzare un blocco sismico senza cemento all'interno della struttura non sarebbe possibile da un punto di vista tecnico ("sennò facciamo l'effetto de L'Aquila dove vediamo che i tetti sono perfettamente crollati"). L'assunto difensivo, tuttavia, è stato smentito dal consulente della difesa Arch. D.D., il quale nel corso della testimonianza dibattimentale, a precisa domanda del Giudice "ma quei sette pilastri in cemento armato sarebbero stati poi inglobati nella muratura?'', ha testualmente dichiarato "sarebbero stati quanto meno intonacati e non sarebbero stati visibili, questo è ovvio. Ciò non toglie che il piano particolareggiato redatto dallo stesso Gabucci non prevedeva, c'era una prescrizione in tal senso, ossia il cemento armato è possibile da utilizzarsi solo a livello di fondazioni e di cordolo di piano. Ma le parti in elevazione per forza il piano prevedeva di realizzarle in muratura, espressamente in muratura portante ",per poi aggiungere che una struttura in muratura portante ha la stessa resistenza sismica di una struttura intelaiata in cemento armato. Per tali ragioni, considerato altresì che "in caso di esecuzione di lavori edilizi in difformità dal permesso di costruire, per individuare la natura e la sussistenza di detta difformità non è necessario attendere il completamento dell'opera ove, da quanto già realizzato, si possa desumere che il manufatto, una volta ultimato, andrebbe ad assumere caratteristiche diverse da quelle progettate" (Cassazione penale sez. III, 15/09/2017, n.57954), ritiene il giudicante pacifica la responsabilità penale dell'imputato G.M. in relazione al reato contestato al capo a), in forza della duplice qualifica rivestita, ovvero non essendosi la sua condotta esauritasi nella redazione del progetto ma avendo l'imputato fornito un apporto concreto ed ulteriore alla realizzazione delle opere in cemento in veste di direttore dei lavori. Parimenti, deve essere affermata la responsabilità penale degli imputati D.F., C.M. e P.L. L'argomentazione addotta nel loro esame, infatti, ovvero di avere confidato nella legittimità dell'operato dell'Arch. G., non avendo alcuna competenza in materia edilizia ed essendosi affidati proprio per tale ragione a W1 professionista non solo oltremodo stimato ma anche già progettista e direttore dei lavori per i lavori di ristrutturazione di due case attigue alle loro, non appare condivisibile. A norma del art. 29 D.P.R. n. 380 del 2001, infatti, "il titolare del permesso di costruire, il committente e il costruttore sono responsabili, ai fini e per gli effetti delle norme contenute nel presente capo, della conformità delle opere alla normativa urbanistica, alle previsioni di piano nonché , unitamente al direttore dei lavori, a quelle del permesso e alle modalità esecutive stabilite dal medesimo". Nel caso di specie risulta pacificamente accertato che i tre imputati, oltre che proprietari degli immobili, siano anche titolari dei permessi di costruire nonché committenti dei lavori di demolizione e ristrutturazione. Sulla base di tali acquisizioni e richiamando anche la giurisprudenza di legittimità secondo cui ''permane la responsabilità del committente, che trova il fondamento ne/l'omissione della dovuta vigilanza, cui egli è tenuto in considerazione del fatto che l'opera soddisfa un suo preciso interesse. Ogni committente ha l'obbligo di accertarsi che i lavori siano eseguiti in conformità alle prescrizioni amministrative" (Cass.pen.sez.3 n.37299 del 4.10.2006), è pacifico che D.F., C.M. e P.L. , in quanto committenti, avevano ciascuno una precisa posizione di garanzia derivante dalla normativa sopra richiamata, che imponeva loro di esercitare la dovuta vigilanza per impedire qualsiasi violazione. A prescindere, quindi, dalle dichiarazioni del coimputato G.M. (che ha dichiarato di avere costantemente informato i committenti sull'andamento dei lavori) ed indipendentemente dal fatto che fossero o meno presenti sul cantiere, gli imputati erano tenuti ad esercitare, con la normale diligenza, la necessaria vigilanza. E, se l'avessero esercita, avrebbero impedito la realizzazione dell'evento, potendo anche un profano percepire che i pilastri realizzati erano in cemento armato, anziché in materiale laterizio. Gli imputati, pertanto, devono rispondere a titolo di colpa, quanto meno per omessa vigilanza sull'andamento dei lavori, del reato contravvenzionale ascritto al capo a). Va a questo punto verificata la possibilità di applicare la disciplina introdotta dall'art. 131 bis c.p. come da richiesta concorde delle parti. Detta disciplina ha previsto una causa di esclusione della punibilità in senso stretto, presupponendo da un lato la sussistenza di un reato integrato in tutti i suoi elementi oggettivi e soggettivi, ma esprimendo, dall'altro, considerazioni attinenti alla non opportunità di punire fatti non meritevoli di pena, nel rispetto dei principi di proporzione e sussidiarietà della sanzione penale. Tale norma prevede che l'esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto possa essere dichiarata qualora l'offesa sia, per le modalità della condotta è l'esiguità del danno o del pericolo, particolarmente tenue e se il comportamento del reo non sia abituale. In particolare, il presupposto della particolare tenuità dell'offesa, può essere desunta dalle modalità della condotta e dell'esiguità del danno o del pericolo, valutati sulla base dei criteri di cui all'art. 133 co. 1c.p. Il fatto particolarmente lieve ai sensi dell'art. 131-bis c.p. è comunque un fatto offensivo che costituisce reato e che il legislatore preferisce non punire; tuttavia, l'aver condizionato la punibilità anche attraverso un dato soggettivo, costituito dalla non abitualità del comportamento penalmente illecito, comporta una valutazione anche del comportamento successivo al reato, al fine dell'esclusione dell'abitualità. Nel caso di specie, il reato accertato si è estrinsecato con modalità non denotanti né la gravità dell'azione né la capacità a delinquere del colpevole. Si consideri, sotto il primo profilo, che le opere non avevano dimensioni tali da comportare un rilevante carico urbanistico e sono state prontamente demolite a cura e spese degli imputati, e per il secondo, che gli imputati sono incensurati. Ne consegue che per il reato in questione, in relazione alla tipologia delle opere difformi, che sono state immediatamente demolite e non hanno arrecato alcun pregiudizio per l'assetto del territorio, può ritenersi integrata la causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis c.p., ricorrendo quelle condizioni di minima offensività del reato e di non abitualità del reo che legittimano la relativa pronuncia. Diverso discorso deve essere invece fatto con riguardo all'imputato C.G., chiamato a rispondere del reato a titolo di mero comproprietario dell'immobile. Secondo il consolidato orientamento della Suprema Corte, infatti, anche il proprietario "estraneo" (ovvero privo delle qualifiche soggettive specificate all'art. 29 del richiamato decreto: committente, titolare del permesso di costruire, direttore dei lavori) può essere ritenuto responsabile del reato edilizio, purché risulti un suo contributo soggettivo all'altrui abusiva edificazione da valutarsi secondo le regole generali sul concorso di persone nel reato, non essendo sufficiente la semplice connivenza, attesa l'inapplicabilità dell'art. 40 comma 2 c.p., in quanto non esiste una fonte formale da cui far derivare un obbligo giuridico di controllo sui beni finalizzato ad impedire il reato. Ne segue che "la responsabilità del proprietario che non abbia la disponibilità dell'immobile interessato dalle opere abusive, non può essere desunta dal mero rapporto di parentela e dal vincolo di convivenza con il committente delle stesse ma necessita di ulteriori elementi sintomatici della sua partecipazione, anche morale, alla realizzazione del manufatto, come la presentazione della domanda di condono edilizio, la presenza sul posto, lo svolgimento di un'attività di vigilanza dei lavori o l'interesse alla realizzazione dell'opera" (Sez.3,n.16155del16/01/2019;Sez.3,n.38492del19/05/2016;Sez.3,n.24138del27/04/2021).Nelcasodispecie,nessunaprovadellasussistenzadelreatocontestatoa C.G.,èemersaindibattimento.L'imputato,infatti,nonsolononavevalapienadisponibilitàdell'immobileincuièstatorealizzatol'illecito,madall'istruttoriadibattimentalenonèemersoalcunindizioinordineadunsuocoinvolgimentoalmomentodellapresentazionedellarichiestadi rilasciodelpermessodicostruiredapartedeigenitori,oinordine adunasuapossibilepresenzasul luogodell'abuso,oancorainordinealfattoche abbiainterloquitoin qualchemodoconildirettore deilavori.
Rispetto al reato sub B), integrato dalla realizzazione delle opere descritte al capo A), in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, risulta pacificamente dimostrata la spontanea ed immediata demolizione delle opere in cemento, effettuata prima che venisse disposta di ufficio dall'autorità amministrativa e, pertanto, si è verificato l'effetto estintivo di cui all'art. 181, comma 1 quinquies. d.lg. 22 gennaio 2004 n. 42, a norma del quale "la rimessione in pristino delle aree o degli immobili soggetti a vincoli paesaggistici da parte del trasgressore, prima che venga disposta d'ufficio dall'autorità amministrativa, e, comunque prima che intervenga la condanna, estingue il reato di cui al comma 1". Visti gli artt. 131 bis c.p. e 530 c.p.p., il Tribunale Penale in composizione monocratica assolve G.M., D.F., C.M., P.L. dal reato ascritto al capo a), perché gli imputati non sono punibili per la particolare tenuità del fatto. Visto l'art. 530 c.p.p. assolve C.G. dal reato a lui ascritto al capo a) per non avere commesso il fatto. Visto l'art. 531 c.p.p., dichiara non doversi procedere nei confronti di G.M., D.F., C.M., P.L. e C.G. per il reato di cui al capo b) in applicazione dell'art. 181, comma 1-quinquies del decreto legislativo 42/2004.