Sentenza penale -effetto vincolante sul giudizio amministrativo- limiti e presupposti – istanza autotutela – dovere PA – esclusione – principio della “ragione più liquida”-

13.12.2024 – Consiglio di Stato Sez. VII sent. 10042/2024 Pres. Franconiero – Rel. Ponte

24/12/2024

- OMISSIS – FATTO E DIRITTO Il Sig. X presentava al Comune di Y un’istanza volta ad ottenere l’accertamento di abusi edilizi e, per l’effetto, l’adozione dei conseguenti provvedimenti, in relazione ad un immobile adibito ad abitazione civile omissis. A seguito del silenzio serbato sull’istanza, il ricorrente istaurava giudizio dinnanzi al T.A.R. omissis. Venivano preposti motivi aggiunti, poi respinti rendendoli inammissibili nella parte in cui si contestava la legittima di provvedimenti inoppugnabili, nonché infondati nella parte in cui deduceva la violazione/elusione da parte del Comune dell’obbligo di provvedere alla rimozione in autotutela dei titoli edilizi abitativi non impugnati e dell’obbligo di attivare i poteri repressivo – sanzionatori. Con riguardo ai profili di inammissibilità affermava che ricorrente avrebbe sollevato censure che, benché volte, sul piano formale, a contestare la nota comunale omissis, intendevano invero contestare la legittimità di provvedimenti divenuti oramai inoppugnabili. In riferimento al merito, il Collegio osservava come non sussistesse in capo all’Amministrazione un obbligo di provvedere alla rimozione in autotutela dei titoli abilitativi rilasciati e rimasti inoppugnati, sulla base dei quali sia stata in seguito realizzata l’edificazione oggetto del contendere. In definitiva, il rimedio che il ricorrente avrebbe dovuto attivare era quello impugnatorio avverso i titoli abilitativi contestati, di talchè nel caso di specie non potrebbe dirsi che il Comune di Y abbia violato o eluso l’obbligo di provvedere; e ciò nemmeno con riguardo all’adozione di misure ripristinatorie. Avverso la sentenza, omissis, il ricorrente proponeva appello, articolando le doglianze in sette motivi di censura. Omissis Il Collegio ha ritenuto l’appello infondato per i seguenti motivi: “…In relazione al primo motivo di appello, se per un verso della sentenza penale – non di condanna – non emerge alcun vincolo, per un altro verso l’esposto di un provato non impone l’avvio dell’iter di autotutela sui titoli rilasciati e contestati. Sul primo versante, va ribadito in linea generale – neppure rilevante nel caso de quo dove la pronuncia non è stata di condanna – che, comunque, il carattere vincolante, nei rigaurdi del giudizio amministrativo, dell’accertamento compiuto dal giudice penale – così come statuito dall’art. 654 cit.  – è subordinato alla ricorrenza di presupposti rigorosi: sotto il profilo soggettivo, il giudicato è vincolante solo nei confronti dell’imputato, della parte civile e del responsabile civile che si sia costituito o che sia intervenuto nel processo penale e non, quindi, nei confronti di altri soggetti che siano rimasti ad esso estranei, pur essendo in qualche misura collegati alla vicenda penale; sotto il profilo oggettivo, il vincolo copre solo l’accertamento dei “fatti materiali” e non anche la loro qualificazione o valutazione giudica, che rimane circoscritta al processo penale e non può condizionare l’autonoma valutazione da parte del giudice amministrativo o civile o dell’amministrazione (cfr. ad es. Consiglio di Stato, Sez. VI, 20/1/2022, n. 358; 15/2/2021, n. 1350; 23/11/2017, n. 5473; 28/7/2016, n. 3403; sez. V, 17/3/2021, n. 2285).           Sul secondo versante, va ribadito che deve escludersi la sussistenza di un dovere generalizzato dell’Amministrazione di provvedere sulle istanze di autotutela.           La richiesta avanzata dai privati nei confronti dell’Amministrazione al fine di ottenerne un intervento in autotutela è da considerarsi una mera denuncia, con funzione sollecitatoria, che non fa sorgere in capo all’Amministrazione alcun obbligo di provvedere.           Invero, come noto, i provvedimenti di autotutela sono manifestazione dell’esercizio di un potere tipicamente discrezionale dell’Amministrazione che non ha alcun obbligo di attivarlo e, qualora intenda farlo, deve valutare la sussistenza o meno di un interesse che giustifichi la rimozione dell’atto, valutazione della quale essa sola è titolare.           Nel caso di specie la sentenza di prime cure ha fatto buon governo, rospetto alle istanze della odierna parte appellante, dei principi appena richiamati.           La presente decisione è stata assunta tenendo conto dell’ormai consolidato “principio della ragione più liquida”, corollario del principio di economia processuale (cfr. Cons. Stato, Ad. Pl., 5 gennaio 2015, n. 5, nonché Cass. , Sez. un., 12 dicembre 2014, n. 26242), che ha consentito di derogare all’ordine logico di esame delle questioni e tenuto conto che le questioni sopra vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante, ex plurimis, per le affermazioni più risalenti, Cass. Civ., Sez. II, 22 marzo 1995, n. 3260, e , per quelle più recenti, Cass. Civ., Sez. V, 16 maggio 2012, n. 7663, e per il Consiglio di Stato, Sez. VI, 19 gennaio 2022, n. 339), con la conseguenza che gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati son ostati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso. Alla luce delle considerazioni che precedono l’appello va pertanto respinto…” -        Omissis -

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