Giudizio monocratico – Sentenza sottoscritta da Giudice in congedo all’atto del deposito – nullità – decisione della Corte di Appello nel merito – reiezione dei motivi di appello e conferma del decreto ingiuntivo opposto - ragioni

7.11.2023 – Corte di Appello di Ancona - Sent. 1620/2023 - Pres. Marcelli Est. Marziali

07/12/2023

… “RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE § 1 - Con sentenza n. 34/2019, depositata il 25 gennaio 2019, il Tribunale di Urbino rigettava l’opposizione proposta da X, in qualità di titolare della ditta individuale M, avverso il decreto ingiuntivo n. (omissis), emesso il (omissis) dal medesimo Tribunale in favore della s.r.l. A, con cui aveva ingiunto alla prima di restituire alla seconda alcuni beni, consegnati in base al contratto di compravendita con patto di riservato dominio concluso tra le parti. Respingeva, inoltre, le domande riconvenzionali avanzate dall’opponente, l’una il risarcimento del danno subito a causa del mancato rinnovo da parte dell’opposta dei titoli cambiari consegnati in pagamento, l’altra perla restituzione del prezzo versato per l’acquisto di una pressa enologica mod. “(omissis)”. Pertanto, condannava l’opponente a rifondere all’opposta le spese di lite. Propone appello avverso la citata pronuncia X, deducendo in rito la nullità della sentenza alla luce del collocamento in congedo obbligatorio per maternità del magistrato estensore e articolando, nel merito, le censure di seguito esposte. Con il primo motivo, l’appellante evidenzia l’errata valutazione, da parte del primo giudice, della documentazione prodotta, contenuta sia nella pronuncia di rigetto dell’istanza di sospensione della provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo sia nella sentenza. In particolare, il Tribunale errava nel ritenere che consegna della pressa enologica mod. “(omissis)”trovasse titolo nel contratto concluso tra le parti in data (omissis). Invero, la consegna era avvenuta in esecuzione della compravendita con patto di riservato dominio, stipulata tra le parti con scrittura privata del (omissis), prodotta in giudizio dall’opposta, ma disconosciuta dall’opponente. Con il secondo motivo, l’appellante deduce il vizio di extra petizione in relazione alla statuizione di rigetto della domanda riconvenzionale di restituzione del prezzo dalla medesima versato all’appellata per l’acquisto dell’indicato macchinario. In particolare, osserva che nel giudizio di opposizione quest’ultima non aveva proposto in via espressa la domanda di equo indennizzo ai sensi dell’art. 1526, primo comma c.c.; al contrario, aveva richiesto invia esclusiva la risoluzione del contratto e la restituzione dei beni. Pertanto, secondo la tesi difensiva in esame, il Tribunale eccedeva i limiti della domanda nella parte in cui sterilizzava la pretesa restitutoria azionata dall’opponente mediante il riconoscimento in favore dell’opposta dell’equo indennizzo per il godimento del bene, in assenza della relativa domanda, ricavata soltanto in via implicita dalla richiesta di rigetto dell’opposizione. Con il terzo motivo, l’appellante censura la sentenza impugnata nella parte in cui il Tribunale escludeva l’inadempimento dell’opposta in relazione all’obbligo, stabilito con la scrittura privata del (omissis), di rinnovare i titoli cambiari consegnati in pagamento e negava il nesso causale tra il conseguente protesto dei titoli stessi e il successivo diniego del finanziamento da parte della Banca P. In primo luogo, contesta l’assunto, posto a fondamento di tale decisione, per cui le parti avrebbero subordinato il suddetto obbligo alla ricorrenza di condizioni di estrema necessità, non integrate dalla mera circostanza che la s.r.l. A avesse in alcune occasioni accordato il rinnovo. Osserva, al riguardo, l’appellante che la pattuizione in esame va ricondotta alla categoria della condizione potestativa, per cui le parti avevano rimesso la valutazione in ordine alla ricorrenza delle condizioni di estrema necessità alla discrezionalità dell’acquirente. Pertanto, a fronte della richiesta di rinnovo da parte di quest’ultima, la venditrice non avrebbe potuto apporre alcun rifiuto e avrebbe dovuto senz’altro adempiere l’obbligo in esame. In secondo luogo, sostiene che il nesso causale tra il protesto dei titoli cambiari, conseguito al mancato rinnovo degli stessi e rifiuto della Banca di erogare il richiesto finanziamento può ricavarsi dalle massime di esperienza comuni, in quanto è noto che gli istituti di credito non possono erogare somme di denaro in favore di soggetti iscritti al registro dei protesti. Sostiene infatti che, prima del protesto dei titoli cambiari, non vi era alcuna situazione di insolvenza, tanto che la Banca aveva aperto l’istruttoria per il finanziamento. Per tale via, conclude che l’omesso completamento del progetto ammesso al finanziamento regionale, con conseguente perdita del cospicuo contributo economico pubblico, è integralmente imputabile alla condotta dell’appellata; tale circostanza emergeva anche dalle dichiarazioni rese dal funzionario regionale sentito quale teste. Si costituisce s.r.l. A, chiedendo il rigetto dell’appello principale e la conferma della sentenza impugnata. §§§§§§§§§§§§§§§ § 2 - Appare, preliminarmente, fondata la censura dell’appellante che deduce la nullità della sentenza per essere il giudice, al momento della sua determinazione, in congedo come da risposta del Presidente del Tribunale di Urbino del 30.1.2019 e relativi allegati. In particolare, mentre il giudice estensore risulta essere stata in congedo ex art. 17 d. lgs 151.01 dal 25.9.2018, e risulta lo fosse ancora (v. decreto pres. trib. Urbino n. 16.19) alla data del 7.5.19, i termini di cui all’art. 190 cpc venivano a scadere il 14.11.2018e la sentenza fu depositata il 22.1.2019. Secondo Cass. Sez. 3,  n. 23191 del 27/10/2006il vizio della costituzione del giudice, che produce, ai sensi dell'art. 158 c.p.c., la nullità insanabile dell'atto da lui emanato“…….Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte (v., Cass., 9 febbraio 1991, n. 1374, Cass., 12 luglio 1993, n. 7675, Cass., 9 dicembre 1994, n. 10547, nonché Cass., 8.10.2001, n. 12324, chiaramente in motivazione), il momento della pronuncia della sentenza, nel quale il magistrato deve essere legittimamente preposto all'ufficio per poter validamente provvedere, va identificato con quello della deliberazione della decisione, mentre i successivi momenti dell'iter formativo, e cioè la stesura della motivazione, la sottoscrizione e la pubblicazione, non incidono sulla sostanza della pronuncia, sicché, ai fini dell'esistenza dell'atto, è irrilevante che dopo la decisione il giudice singolo, o uno dei componenti dell'organo collegiale, per circostanze sopravvenute come il trasferimento o il collocamento fuori ruolo o a riposo, sia cessato dalle funzioni presso l'ufficio investito della controversia.”  Nel nostro caso, la deliberazione deve ritenersi coincidente con la data del deposito, e comunque successiva al 25.9.18, poiché in quella data neppure erano scaduti i termini di cui all’art. 190 c.p.c. . Né il Giudice aveva riacquistato il potere di decidere dopo la scadenza del congedo, dal momento che, come detto, esso si protrasse quantomeno sino alla data del7.5.2019. In questo periodo, e precisamente in data 22.1.19, come detto, fu emessa la sentenza impugnata, di cui va dichiarata la nullità. § 3 – Le conseguenze dell’accertata nullità Appare evidente che la nullità di cui si discute coincide con la sentenza, mentre tutti gli atti processuali precedenti non vengono in considerazione e sono del tutto validi, anche in ossequio al principio generale espresso dall’art. 159 c.p.c.. Non si tratta, inoltre, di una ipotesi di rimessione al primo giudice. Questo giudice d’appello decide, quindi nel merito, sostituendosi al giudice di primo grado in questa decisione. Con l’ulteriore conseguenza che questa Corte, pur non dovendosi pronunciare sui gravami, non opera al di fuori (ed a prescindere)  dagli stessi, nel senso – ormai espresso da giurisprudenza consolidata - che, al di fuori del caso in cui l'impugnazione che concerne esclusivamente vizi di rito merita accoglimento solo qualora detti vizi comportino, se fondati, la rimessione al primo giudice ai sensi degli artt. 353 e 354 c.p.c., in caso contrario, è necessario che l'appellante deduca ritualmente anche le questioni di merito, sicché, in tali ipotesi, l'appello proposto esclusivamente in rito è inammissibile, oltre che per un difetto di interesse, anche per non rispondenza al modello legale di impugnazione (giur costante, v. da ultimo Cass.,  Sez. 3 -, Sentenza n. 20799 del 20/08/2018 ). Come dedurre “ritualmente” le questioni di merito lo spiega più di tutto Cass. 3718.2011 che si occupa della questione determinando peraltro un perimetro di difesa non formalistico, essendo sufficienti doglianze nel merito sul “prodotto decisorio”: “…La Corte d'appello muove dall'esatta enunciazione del principio di diritto secondo cui l'impugnazione con cui l'appellante si limiti a dedurre soltanto vizi di rito avverso una pronuncia a lui sfavorevole (anche) nel merito è ammissibile nei soli limiti in cui i vizi denunciati, se fondati, imporrebbero una rimessione del procedimento al primo giudice ex artt. 353 e 354 cod. proc. civ., e non anche nel caso in cui i vizi medesimi non rientrino nelle ipotesi tassativamente elencate dalle norme predette (Cass. , Sez. III, 29 settembre 2005, n. 19159; Cass., Sez. II, 25 settembre 2006, n. 20785; Cass.,   Sez.   III,  29 gennaio 2010,  n.  2053). Sennonché, per giungere all'applicazione di questo principio la Corte territoriale si è limitata a dare rilievo alla intestazione dei motivi di appello, laddove la lettura completa dell'atto di appello consente di escludere che gli appellanti abbiano dedotto solo vizi in rito della sentenza di primo grado. Con i motivi di impugnazione, infatti, gli appellanti non si sono limitati a veicolare doglianze riferite alla legittimità del prodotto decisorio (sotto il profilo della requisiti minimi di congruità e logicità motivazionale della sentenza, dell'intrinseca illogicità del suo dispositivo e del contrasto tra le ragioni prospettate  in  sentenza  ed il  tenore del  dispositivo), ma hanno dedotto ritualmente, nel rispetto del requisito di specificità della censura richiesto dall'art. 342 cod. proc. civ., anche questioni di merito, così lamentando l'ingiustizia della sentenza. Ne sono prova il primo motivo, dove si indicano le ragioni (a nulla rilevando che siano state esposte in forma interrogativa)per cui non sarebbero attendibili i testi Andorno e Marcato che avevano riferito sul confine convenzionale tra i fondi alla distanza di m. 1,48 dal palo dell'Enel; ed il terzo motivo, con il quale si addebita alla sentenza di primo grado di avere omesso di considerare le conclusioni della c.t.u., con le quali era stato chiarito che la parte convenuta non aveva effettuato alcun tipo di spossessamento del terreno del ricorrente….” § 4 - L’asserita ingiustizia della sentenza e l’analisi delle questioni di merito veicolate come motivi di appello. Il Tribunale di Urbino ha respinto la richiesta di restituzione del prezzo versato da X alla s.r.l. A di (omissis) euro. La motivazione del Tribunale afferma che la risoluzione del contratto ha avuto luogo a causa dell'inadempienza dell'acquirente nell'uso dei macchinari, pertanto il pagamento effettuato costituisce un compenso equo previsto dalla legge. Dal canto suo, la X deduce, fra le altre cose, che la parte opposta aveva un obbligo contrattuale di rinnovare i titoli cambiari in caso di estrema necessità, ma la s.r.l. A non ha adempiuto a questa obbligazione, causando problemi finanziari alla X. V’è poi la questione dell’inadempimento non superiore ad 1/8 ex art. 1525 c.c. . 4.1 – Iniziando dall’ultima questione, quella dell’art. 1525 c.c. esse è inapplicabile in quanto delle due l’una, posto che si tratterebbe di un inadempimento, per quanto attiene la presente controversia,  di euro (omissis). a) o si tratta di un inadempimento che concerne un'unica rata, ed allora si è ben oltre l’importo di 1/8 e per la precisione quasi 3/8 b) o si tratta di inadempimento che riguarda più rate, ed allora in ogni caso l’art. 1525 c.c. non si applica, non essendo suscettibile di applicazione analogica (giurisprudenza costante : v. Cass. 9356.2000) e salva in ogni caso l’applicazione dell’art. 1455 c.c. (Cass. 10995.2015). 4.2 – L’inadempimento L’inadempimento sussiste, essendo stato solamente eccepito, da parte appellante, che il mancato pagamento delle cambiali, portate poi in protesto, poteva essere impedito dal loro rinnovo, poiché l’opposta si era impegnata a rinnovare i titoli di credito cambiari prima della scadenza a semplice richiesta dell’opponente. Nondimeno, l’appellata coglie nel segno ove deduce che si era prevista tale eventualità solo "in caso di estrema necessità", circostanza mai dedotta, né tantomeno comprovata o documentata in alcun modo dalla opponente. E ciò a tacere dalla estrema vaghezza di tale espressione, cui dare un contenuto estremamente prudente. Né risulta in alcun modo che i pagamenti delle attrezzature fossero "implicitamente subordinati all'erogazione dei contributi sul progetto (omissis)", perché tale tipo di pattuizione doveva essere contenuta, semmai, nella scheda contrattuale. La società opposta ha dunque fondatamente preteso il pagamento, poiché il protesto e comunque il mancato pagamento delle cambiali non era in alcun modo giustificato. Non è la società opposta ad essere stata inadempiente (di qui l’infondatezza di tutte le domande di risarcimento conseguenti), bensì l’opponente. 4.3 - Le domande e le statuizioni In sede di costituzione nel giudizio di opposizione, l’odierna appellata ha avuto cura di precisare 1) Le attrezzature vendute, usate per circa tre anni dall’opponente, avevano ormai più che dimezzato il loro valore, “sì che la opposta si riserva, all'esito della rivendita a terzi dei beni (se peraltro possibile), di agire in separato giudizio per quanto ulteriormente dovutole a saldo del proprio credito”. 2) Le sue conclusioni sono “statuire il diritto della opposta ad ottenere la restituzione dei beni descritti in decreto per ingiunzione opposto, del caso confermando altresì il medesimo decreto ingiuntivo, respinta comunque l'opposizione”. Orbene, seppure in maniera imprecisa, la “statuizione del  diritto della opposta ad ottenere la restituzione dei beni descritti in decreto per ingiunzione opposto” non può che essere sottesa ad una declaratoria d’inadempimento della controparte, che costituisce il presupposto per la restituzione[1]. Né può accedersi alla tesi della sentenza impugnata (che, essendo nulla, qui si esamina solo dal punto di vista dell’argomentazione logica) secondo cui si tratterebbe di una implicita richiesta di equo compenso : quanto sopra osservato al punto 1) fa ritenere che in ogni caso l’appellato si riservava ogni altra domanda in separata sede. Ne discende che il prezzo di euro (omissis) euro non andrebbe restituito sulla base dell’inadempimento della X, perché in ordine a tale inadempimento la A s.r.l. ha solo chiesto la restituzione del bene, riservandosi per tutto il resto di agire in separato giudizio e comunque non spiegando alcuna esplicita domanda per l’equo compenso o per il risarcimento (da opporre in compensazione)[2] . Piuttosto, occorre osservare come manchi una domanda specifica, da parte della X, difettando la richiesta di restituzione delle rate versate della medesima causa petendi, pur essendo uguale il petitum. Infatti, nell’atto di opposizione a d.i., una delle domande riconvenzionali riguarda “In subordine dichiararsi la risoluzione del contratto per grave inadempimento della venditrice, con conseguente condanna della ingiungente opposta alla restituzione del prezzo versato nella somma di euro omissis oltre interessi legali e rivalutazione monetaria”. La causa petendi sottesa alla richiesta di restituzione riguarda la risoluzione per inadempimento del venditore, non la restituzione conseguente all’inadempimento del compratore. Si tratta di domanda diversa, se non altro sotto l’assorbente profilo che la restituzione imposta al venditore delle rate già pagate, ex art. 1526,1° comma, c.c. deve tenere conto dell’equo compenso per l’uso della cosa, oltre al risarcimento del danno(se richiesto con domanda specifica) .  La condanna alla restituzione del bene o del prezzo, quale conseguenza dell’inesatto adempimento di un contratto a prestazioni corrispettive, presuppone l’espressa domanda di parte, non essendo l’effetto restitutorio implicito nella domanda di risoluzione(Cass. 10917 del 26 aprile 2021). Il d.i. va pertanto confermato ed ogni altra domanda avanzata in primo grado rigettata. Le spese processuali seguono la soccombenza della X . Nonostante questa Corte giudichi nel merito ed alla stregua del Giudice di primo grado, le spese vanno regolate per entrambi i gradi di giudizio, dovendosi aggiungere a quelle già liquidate in primo grado nella sentenza impugnata quelle che liquida questa Corte in ragione delle spese sostenute per il processo innanzia sé: la soccombenza è completa, la fondatezza del solo motivo attinente la questione della nullità della sentenza di primo grado vale solo per escludere la statuizione sulla ricorrenza dei presupposti per il raddoppio del contributo unificato. P.Q.M. La Corte così dispone             1-Dichiara la nullità della sentenza impugnata             2-Pronunciando nel merito, rigetta l’opposizione e conferma il d.i..             3-Condanna X al pagamento, in Favore di A s.r.l., delle spese processuali, che      liquida, (omissis)  [1] Cass. civ. n. 2265.1997 specifica che il venditore di un bene con riserva di proprietà può agire nei confronti del compratore inadempiente per ottenere la restituzione del bene ricorrendo alla procedura monitoria, ma non può, nel corso del giudizio di opposizione domandarne il pagamento del prezzo, sia perché domanda nuova rispetto a quella di restituzione - fondata sul suo diritto di proprietà e sull'inadempimento del predetto contratto, mentre quella di adempimento è fondata soltanto su quest'ultimo - sia perché, essendo affine a quella di risoluzione del contratto per inadempimento, soggiace alla generale preclusione stabilita dal secondo comma dell'art. 1453 cod. civ., a norma del quale non può chiedersi - salva l'accettazione del contraddittorio - l'adempimento del contratto, dopo averne domandato la risoluzione.  [2] Né la lamentata insolvenza anche in sede di esecuzione forzata della X può costituire – anche se provata – un intollerabile contrasto col senso di giustizia sostanziale, ben potendo apprestare l’ordinamento altri rimedi in tali casi (peraltro A nelle sue difese dichiara che controparte era insolvente a partire dal 2011, eppure ha stipulato e trattato con essa anche nel 2012 e successivamente). 

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